Vedere l’ambiente deperire sempre più nel corso degli anni, aveva sollevato una questione etico-comportamentale inerente alla sua salvaguardia, perchè mitigare gli effetti distruttivi dell’ intervento massiccio dell’uomo su di esso, tutelare e conservare l’ habitat (soprattutto delle specie minacciate), tutelare e conservare la biodiversità, garantire la presenza di acqua ed aria pulita, limitare l’inquinamento e i danni conseguenti, avrebbe comportato un ritorno positivo in termini di vantaggi acquisiti, avrebbe significato migliorare la nostra qualità di vita. Di tutto, tutti, di noi tutti. E anche noi consumatori abbiamo cominciato a impegnarci seriamente per perseguire obiettivi di sostenibilità, rispettare alti standard etici e operare in modo responsabile. Tra le buone pratiche seguite, come non menzionare quella relativa ad esempio al riciclo di plastiche e microplastiche.
E invece non sembra essere il riciclo la soluzione auspicabile
Venerdì 2 Giugno si è chiuso a Parigi il secondo dei cinque incontri – il primo si è tenuto nel 2022 in Uruguay, il terzo si terrà in Kenya a novembre – pensati e organizzati dalle Nazioni unite per tentare di stipulare, entro il 2024, un trattato internazionale sulla riduzione della produzione della plastica nel mondo, così da limitarne l’impatto negativo su ambiente ed esseri viventi.
Cinque giornate in cui oltre duemila rappresentanti provenienti da quasi duecento Paesi di tutto il mondo si sono confrontati e scambiati opinioni, ma non senza difficoltà.
Come ha infatti dichiarato Larry Thomas, ex dirigente della Plastics industry association, «se le persone pensano che il riciclo funzioni, allora non saranno così preoccupate per l’ambiente e continueranno a comprare plastica». Ma, oltre a non essere efficace come si pensa, smaltire correttamente una bottiglia di plastica non basta e non è una soluzione alternativa alla riduzione del numero di contenitori immessi in circolazione, per diversi motivi.
Di seguito, gli elementi di criticità riscontrati a seguito del riciclo:
Attività di riciclo marginale
Nonostante i progressi compiuti, quella del riciclo continua ad essere un’attività piuttosto marginale. In un rapporto del 2018 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) scriveva che nel mondo la quantità di plastica riciclata è inferiore al venti per cento del totale. Mentre il resto finisce in inceneritori e termovalorizzatori oppure – per la maggior parte – in discariche o addirittura nell’ambiente stesso. I dati attestano che il materiale plastico prodotto tra il 1950 e il 2017 e non rimesso in circolo equivale a più di nove miliardi di tonnellate.
Il processo di recupero meccanico del prodotto non sempre è ultimato
Smaltire poi un oggetto in plastica nell’apposito contenitore non significa garantirgli necessariamente un’altra vita. Il processo di recupero meccanico – che sostanzialmente prevede lo sminuzzamento del prodotto in piccolissimi granuli è complicato e spesso, per via di una serie di fattori, finisce per stopparsi. E poi oltre agli alti costi, chi si occupa di riciclare la plastica deve superare decine di step prima di poter definire il processo e concluderlo.
Il prodotto d’ arrivo è qualitativamente inferiore a quello di partenza
È necessario ad esempio separare materiali differenti (come Pet e Pvc), che non possono essere lavorati e smaltiti allo stesso modo, occorre scartare molti oggetti perché contenenti sostanze organiche (residui di cibo) e sostanze inorganiche di natura non plastica (come la carta o la colla delle etichette) e così via. E anche quando alla fine il rifiuto torna “polvere” ed è pronto per dare vita a qualcos’altro, il prodotto d’arrivo non è sicuramente simile a quello di partenza.
La capacità di riciclo non è a tempo indeterminato
La plastica, quando viene riciclata, si degrada e perde valore. In pratica non è più un polimero puro. La sua struttura, costituita da un mix di molecole differenti, ha una qualità inferiore rispetto al materiale vergine di partenza: può essere, ad esempio, meno resistente, o meno lucida e flessibile. Ma anche nel caso in cui, invece, il nuovo oggetto dovesse essere piuttosto simile per caratteristiche a quello di partenza, la sua capacità di riciclo si esaurirebbe comunque in un paio di cicli di vita.
La plastica riciclata ha effetti negativi sull’ organismo
Nel suo ultimo rapporto Greenpeace USA ha asserito che la plastica riciclata aumenta la sua tossicità, comprimendo al suo interno livelli più elevati di sostanze chimiche come benzene, agenti cancerogeni, inquinanti ambientali e interferenti endocrini che possono causare cambiamenti nei livelli ormonali naturali del corpo.
La soluzione: ridurre la produzione
Considerando dunque che gli esseri umani producono più di quattrocentotrenta milioni di tonnellate di plastica all’anno, che la maggior parte ha un ciclo vitale breve, che molti oggetti finiscono per disperdersi nell’ambiente, e che questi possono arrivare a contenere fino a tredicimila sostanze chimiche, «è chiaro che l’unica vera soluzione per porre fine all’inquinamento da plastica è ridurre in modo massiccio la sua produzione». La Stipula di un accordo, come quello proposto dalle Nazioni unite, senza compromessi e interferenze potrebbe essere un passo avanti.Un piccolo passo in avanti, ma non abbastanza grande da avvicinarci alla meta finale. Quest’ultima, infatti, pare sia difficile da raggiungere per via di una serie di ostacoli posti lungo il cammino.
Gli elementi ostativi alla riduzione della produzione di plastica
Tra gli elementi d’ intralcio alla realizzazione del progetto vi sono gli interessi dell’industria petrolifera, che fornisce il materiale fossile per produrre la plastica. Un mercato ghiotto per le imprese petrolifere, il cui interesse è tutto incentrato a preservare la produzione di nuova plastica- i “signori” del greggio stanno iniziando a guadagnare più di quanto avessero messo in conto- che imputa le colpe dell’inquinamento ad un’economia circolare che non funziona nel modo corretto. Secondo un’inchiesta realizzata qualche anno fa da Npr, una stimata emittente radiofonica statunitense, le grandi compagnie del petrolio avrebbero finanziato tutte le più importanti campagne al fine di incentivare il riciclo della plastica degli ultimi decenni ed impedire pertanto la riduzione della produzione.
Miriam Sgrò