Negli ultimi anni abbiamo assistito a una lenta agonia che ha colpito tutti i settori di Reggio Calabria, da quello turistico a quello commerciale, scoraggiati e annichiliti, per non tacere di quello infrastrutturale completamente mortificato. Il degrado urbano, il mancato rispetto dei servizi essenziali, la crescente emigrazione e l’appiattimento culturale, infine, fanno da cornice a una realtà desolante che non riesce più a produrre utilità sociale. In quest’ottica la notizia della possibile chiusura del Seminario, che oltre a essere un importante polo spirituale di una città immiserita in ogni aspetto, è anche un’istituzione culturale che ha prodotto riflessione critica e approfondimento, diviene un segnale potenzialmente negativo del futuro che si prospetta. Si tratta di una notizia, pertanto, che ci lascia un profondo senso di amarezza.
La domanda che ormai ci si pone ininterrottamente è sempre la stessa? Cosa sta succedendo in questa città ormai chiaramente vittima di un processo apparentemente inarrestabile di impoverimento e di abbandono? Chi da anni si impegna per promuovere Reggio Calabria, evitare ulteriori perdite e cercare di porre qualche piccolo mattoncino per riscostruirne le fondamenta, soffre nel vederla in queste tragiche condizioni. Chiedersi il perché di tutto questo non ha più senso. Ciò che appare chiaro oltre ogni ragionevole dubbio, è che abbiamo il bisogno urgente di invertire la rotta e scommettere sulle potenzialità che la nostra terra è in grado di esprimere ad ogni livello riconoscendo la rilevanza anche sociale di ogni sua componente. In quest’ottica, il pensiero è che la chiusura del Seminario diventi l’ennesima ferita inferta a una città già moribonda.
In un territorio che da un decennio è afflitto dalla inarrestabile emigrazione giovanile, anche la possibile chiusura del Seminario rischia di alimentare la via della desertificazione urbana e sociale. Può la logica dalla «ottimizzazione di forze, delle risorse umane e culturali», come si legge nella nota diffusa dall’Arcidiocesi, risultare una motivazione accettabile in un tessuto economico e produttivo ma, in un contesto di declino culturale e sociale, impone interrogativi che non sempre giustificano scelte di utilità gestionale.
Se è vero che la Chiesa reggina risulta essere tra le prime in Italia per numero di seminaristi e per preparazione culturale, perché, quindi, dovrebbe essere penalizzata un’istituzione storica produttiva anche sul piano sociale e formativo, con un conseguente e inspiegabile trasferimento di forze e risorse ad altre realtà? La preoccupazione è che la chiusura del Seminario, pertanto, rischi di tramutarsi nell’ennesimo step di un preoccupante cammino di depauperamento che dura ormai da troppo tempo e che, invece, deve essere arrestato. Si tratta, soprattutto, di una questione di volontà e di amore sincero e autentico per una città che non gode di buona salute.
Pur comprendendo il momento delicato, non possiamo che auspicare che le scelte assunte dal Vescovo sulle sorti del seminario cittadino siano rivolte al bene di Reggio e contribuiscano a frenare il processo di impoverimento in corso nella consapevolezza delle possibili ricadute negative che talune decisioni difficili possono determinare. Nella nostra mente è ancora vivo il ricordo di monsignor Ferro che, in modo pacifico ma risoluto, ha saputo e voluto difendere la città in un momento difficilissimo. Anche in questo tempo Reggio soffre e la città ha bisogno di forze, politiche, culturali e spirituali che la difendano e la aiutino a riscattarsi.
Non possiamo che esprimere, pertanto, l’appello e l’auspicio che il Seminario reggino continui a svolgere la missione che l’ha storicamente contraddistinto quale istituzione spirituale e culturale di tutta una città che non merita di essere chiusa e condannata alla marginalità. Auspichiamo, come in tante altre occasioni, che la partecipazione attiva anche del laicato contribuisca alla difesa delle sorti di questa città.
comunicato stampa