La Cassazione: è diffamazione aggravata per chi offende sulla bacheca di Facebook. Si va incontro a una condanna fino a tre anni di reclusione

Tempi duri per gli haters. Commette il reato di diffamazione aggravata chiunque adoperi termini che risultino offensivi sulla bacheca di Facebook, rischiando fino a tre anni di reclusione. Condannato per diffamazione aggravata, infatti, perché, di fatto, le frasi sono pubbliche. Lo ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza 3453/23 che ha confermato e reso definitiva la condanna a carico di una 46enne che aveva scritto offese sui. Inutile il ricorso della difesa per smontare l’impianto accusatorio.

Ad avviso della quinta sezione penale il verdetto di colpevolezza poggia sul principio per cui proprio la natura, pacificamente, pubblica della bacheca ove le frasi sono state pubblicate permette di qualificare il fatto in termini di diffamazione aggravata ai sensi dell‘art. 595, comma 3, cod. pen., poiché questa modalità di comunicazione ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone (non contestualmente presenti), perché attraverso questa piattaforma virtuale gruppi di soggetti valorizzano il profilo del rapporto interpersonale allargato a un numero indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione.

Per gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, ha ricordato che “L’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore.

Tant’è che la missiva a contenuto diffamatorio diretta a una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non integra il reato di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, bensì quello di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese medesime e la conseguente maggiore diffusione della stessa.”

comunicato stampa – Sportello dei Diritti

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