Ma complessa e incerta stima variazione occorrenza e magnitudo
(DIRE) Roma, 28 Dic. – I fenomeni di dissesto geologico, idrologico e idraulico (inondazioni, frane, erosioni e sprofondamenti) “sono diffusi e frequenti in Italia” dove hanno già provocato vittime e gravi danni ad ambiente, beni mobili e immobili, infrastrutture, servizi e tessuto economico e produttivo con ingenti conseguenze economiche (più di due miliardi di euro all’anno). “Sebbene le peculiarità naturali del territorio italiano (caratteristiche geologiche, geomorfologiche meteorologiche e climatiche) giochino un ruolo fondamentale nell’origine di tali fenomeni, diversi fattori antropici contribuiscono in maniera determinante all’innesco o all’esacerbazione delle loro conseguenze”.
Così il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici pubblicato sul sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. I potenziali incrementi indotti dai cambiamenti climatici sulla frequenza e intensità di alcune tipologie di eventi atmosferici (piogge di breve durata ed elevata intensità), che regolano l’occorrenza dei fenomeni di dissesto, “potrebbero rappresentare un sostanziale aggravio delle condizioni di rischio corrente” mentre “altri fenomeni potrebbero presentarsi con minore frequenza in virtù di variazioni di segno o effetto opposto (ad esempio, l’incremento delle perdite per evaporazione e traspirazione)”.
Attualmente, “notevoli e diverse fonti di incertezza (tra le altre, la quantità e qualità delle serie storiche di osservazioni, carenze delle attuali catene modellistiche di simulazione climatica, contemporanee variazioni nell’uso e nella copertura del suolo e dei livelli di antropizzazione)” rendono “complessa e incerta la stima della variazione di occorrenza e magnitudo dei fenomeni di dissesto a causa dei cambiamenti climatici”. L’elevata vulnerabilità del paeseè sottolineata dai dati dell’ultimo Rapporto ISPRA ‘Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio’: quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad elevata pericolosità.
Nel 2021, oltre 540mila famiglie e 1.300.000 abitanti vivono in zone a rischio frana mentre sono circa 3 milioni di famiglie e quasi 7 milioni gli abitanti residenti in aree a rischio alluvione. Le regioni con i valori più elevati di popolazione che vive nelle aree a rischio frane e alluvioni sono nell’ordine Emilia Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.
“Dal momento che queste valutazioni si riferiscono allo scenario attuale, e non sono già calibrate rispetto agli scenari climatici futuri,”, si legge nel Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, “va tenuta presente l’eventualità che l’incremento degli eventi meteorologici estremi, previsto per i prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici, possa determinare una modifica delle aree a pericolosità”. Fermo restando che i fenomeni di dissesto geologico, idrologico e idraulico traggono origine da diversi fattori (caratteristiche geologiche e morfologiche dei versanti e/o dei bacini idrografici, urbanizzazione, copertura vegetale eccetera), “in molti casi un ruolo determinante viene svolto dalle precipitazioni”.
Tra i casi che mostrano il “ruolo determinante” svolto dalle precipitazioni, ci sono quelli che più recentemente hanno colpito il Trentino-Alto Adige (Agosto 2022), Senigallia (Settembre 2022), Maratea (Ottobre 2022) e Ischia (Novembre 2022) con perdita di vite umane, danni a beni mobili e immobili, al patrimonio culturale, a infrastrutture e servizi, blackout energetici. Molti degli esempi citati “hanno visto il coinvolgimento del suolo, ossia la coltre più superficiale costituita da componenti minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi”.
Essendo “praticamente assenti dati sperimentali e una rete di monitoraggio adeguata a valutare la perdita di suolo per l’erosione idrica”, si ricorre comunemente a modelli che utilizzano fattori legati alle caratteristiche dei suoli, al clima, alla vegetazione, all’uso del suolo e alla forma del paesaggio. Dal momento che l’impatto del cambiamento climatico sul rischio geologico, idrologico e idraulico “si estrinseca principalmente attraverso il cambiamento delle temperature e del regime delle precipitazioni, che si verifica con modalità fortemente variabili nello spazio e nel tempo, ed è influenzato da condizioni naturali e antropiche locali”, ciò comporterà “una variazione di frequenza dei fenomeni di dissesto idraulico nei bacini di estensione minore, dei fenomeni franosi superficiali e profondi in terreni caratterizzati da coltri di spessore ridotto e/o elevata permeabilità”.
La degradazione del permafrost “potrà manifestarsi in modo differente a seconda dei substrati interessati, delle condizioni morfologiche dei versanti e delle pareti rocciose e delle possibili interferenze con infrastrutture antropiche”. “È atteso un incremento dei fenomeni di dissesto connessi ai crolli/ribaltamenti in roccia, a colate detritiche e altri fenomeni superficiali, oltre a variazioni nelle caratteristiche idrogeologiche dei versanti di alta quota, con impatti talvolta significativi sulle caratteristiche quantitative e qualitative delle acque superficiali”, prosegue il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
La frequenza delle piene fluviali “sarà maggiormente impattata nei bacini a permeabilità ridotta che rispondono più velocemente alle sollecitazioni meteoriche e hanno ridotto effetto attenuante nei confronti delle precipitazioni di breve durata e forte intensità”. L’urbanizzazione e l’uso del suolo “possono avere un impatto negativo, contribuendo all’aggravarsi dei fenomeni di dissesto”. (Ran/Dire) 14:43 28-12-22