L’operazione “JOB & PAY” – iniziata a seguito di un sinistro stradale avvenuto in una mattinata di ottobre 2020 e nell’ambito del quale veniva coinvolto un furgone con a bordo 5 braccianti agricoli di etnia africana – ha saputo coinvolgere una moltitudine di soggetti italiani e stranieri, così arrivando alla contestazione ai soggetti colpiti dalle odierne misure dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico e truffa: reati accertati nel periodo da ottobre 2020 a novembre 2021 nella provincia di Foggia, in particolare nei territori di San Paolo Civitate, Lesina, Chieuti, Serracapriola, San Severo e Poggio Imperiale, tutti ricadenti sotto la giurisdizione della Compagnia CC San Severo.
Le attività di indagine successive al citato sinistro, condotte dal Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia CC di San Severo e dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia, coordinati dalla locale Procura della Repubblica, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione telefonica, attività di riscontro effettuate attraverso mirati servizi di osservazione, controllo e pedinamento associate a video riprese. Nel corso delle investigazioni, ancora, ci si è avvalsi della consultazione delle banche dati a disposizione del N.I.L. e di varie ispezioni in materia di lavoro, legislazione sociale e sicurezza sui luoghi di lavoro. Tali attività hanno consentito di rinvenire e porre sotto sequestro varia documentazione utile alla ricostruzione dell’intero quadro investigativo. Si è così potuto portare alla luce un sistema che prevedeva l’utilizzo e lo sfruttamento di manodopera, prevalentemente di etnia africana, aldilà di ogni cornice di legalità e aderenza ai criteri in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Durante le indagini si è potuto appurare che i datori di lavoro, colpiti dalle odierne misure, si avvalevano, per il reclutamento di tale manodopera, di un “caporale” di nazionalità senegalese, il quale, approfittando dello stato di bisogno di tantissimi connazionali e di altre persone di origine africana, era addetto, oltre che all’“assunzione”, anche al trasporto e alla sorveglianza dei braccianti ai quali venivano imposte condizioni lavorative massacranti e poco dignitose.
È stato possibile constatare, infatti, che tale “caporale” fosse solito reclutare gli operai presso il cd. Ghetto di Rignano in San Severo o in altre simili località sparse per la provincia di Foggia. L’uomo, normalmente assunto presso una delle aziende colpite dalle misure odierne, oltre a percepire un regolare stipendio quale impiegato, riusciva a sottrarre ai braccianti la somma di euro 0,50 per ogni cassone raccolto e la somma di euro 5 per il trasporto dai luoghi di dimora ai luoghi di lavoro. Ogni bracciante, invece, percepiva, dal canto suo, una retribuzione a cottimo fra i 3.70 e i 4 euro per ogni cassone di pomodori raccolto oppure una retribuzione oraria di circa 4 euro. Gli orari arrivavano anche a 11 ore giornaliere senza riposi settimanali, senza alcuna differenza fra giorni feriali e festivi e senza, ovviamente, un’adeguata corresponsione economica rispetto alle ore prestate in straordinario. Era previsto, vieppiù, oltre alla misera paga, anche l’alloggiamento: le aziende, infatti, mettevano “a disposizione” dei lavoratori alcuni capannoni adibiti a veri e propri dormitori aziendali, all’interno dei quali i servizi igienici erano totalmente inadeguati, senza porte e caratterizzati da vaste aree di muffa maleodorante (a manifesta concentrazione batterica), in presenza di scarichi ed allacci (idrici ed elettrici) abusivi e in assenza delle condizioni minime di abitabilità.
Nessuno dei braccianti, inoltre, aveva ricevuto adeguata formazione, né i dispostivi di protezione previsti. Il lavoro veniva, infatti, prestato senza l’utilizzo di abbigliamento, guanti e calzature antiinfortunistiche. Nel corso dell’indagine è emerso, ancora, come venisse prodotta documentazione falsa al fine di attestare la avvenuta formazione nei confronti dei lavoratori, al fine di garantire un’apparente cornice di legalità ai rapporti di lavoro, traendo così un ulteriore profitto economico, oltre a quello già percepito dalla mancata applicazione della normativa vigente nei rapporti lavorativi.
Infine, oltre alle richiamate misure personali, l’operazione ha consentito il sequestro di beni per un valore complessivo di circa 3 milioni di euro e la sottoposizione a controllo giudiziario di ben 4 aziende agricole riconducibili ai soggetti colpiti da misura cautelare, con un fatturato annuo di circa 1 milione di euro.
Il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari; dunque si precisa che, al momento, a carico degli indagati sono stati acquisiti unicamente granitici indizi di colpevolezza, ritenuti dal GIP di tale gravità da legittimare l’applicazione delle misure cautelari. Si intende affermare infatti come gli indagati non vadano considerati colpevoli fino alla condanna definitiva, come sancito da risalente orientamento normativo e giurisprudenziale in materia.
L’operazione mostra, ancora una volta, il costante impegno dell’Arma dei Carabinieri nel contrasto alle attività delittuose del circondario, soprattutto in riferimento a reati così lesivi della dignità della persona e in grado di produrre elevatissimi pericoli nei confronti dell’incolumità dei lavoratori.
comunicato stampa – fonte: https://www.carabinieri.it/in-vostro-aiuto/informazioni/comunicati-stampa/caporalato-operazione-job-pay-5-arresti-e-numerosi-sequestri-in-puglia