Lavoro. In Italia il post pandemia piace a dipendenti, meno a imprenditori

Lo studio: ridotta propensione a cambiamento rischia azzoppare ripresa aziende

(DIRE) Roma, 27 Giu. – La pandemia ha impattato prepotentemente sul mercato del lavoro andando a rendere necessarie soluzioni organizzative del personale che, secondo quanto rilevato dalla ricerca “Employer Branding – New Normal: che tempo che fa nella vostra impresa?” patrocinato da IAA – International Advertising Association – la più rilevante community internazionale di leader del marketing e della comunicazione a livello mondiale presente in 56 Paesi tra cui l’Italia – condotto su un campione di oltre 200 manager italiani nei settori delle risorse umane, marketing e comunicazione.

Dai risultati emerge che i cambiamenti post-Covid19 della dimensione organizzativa delle imprese sono tanto graditi ai lavoratori, quanto trovano ostacolo in “un’ancora ridotta propensione al cambiamento- afferma Andrea Cioffi, vicepresidente di IAA Italy, coordinatore della ricerca- aspetto che rischia di impedire alle imprese di essere competitive nel mercato del lavoro”.

Smart-working, soft skill, smart workplace e digitalizzazione: tutto corre, ma non i contratti dei lavoratori – I cambiamenti più importanti osservati nell’organizzazione aziendale rispetto all’epoca pre-pandemica sono: lo smart-working per il 70% degli intervistati e la valorizzazione delle soft skills – (esempio capacità personali, relazionali, comunicative, di risolvere i problemi o organizzare il proprio lavoro) – secondo il 76% degli intervistati.

Inoltre, la maggiore digitalizzazione e automatizzazione di processi organizzativi (62%), le competenze digitali (60%) e smart-workplace, ovvero la ri-concettualizzazione degli ambienti di lavoro in uno stile più personale e meno da ufficio, secondo 2 manager su 3 (60%). “Quello che non sembra essere cambiato, riguarda le tipologie di forme contrattuali- riassume Andrea Cioffi di IAA Italy- Nelle imprese di medio-grandi dimensioni (oltre il 70% del campione) la diffusione di forme contrattuali a breve termine o di tipo non subordinato sembra essere stato contenuto”.

Andando quindi ad analizzare i fattori abilitanti e ostativi il cambiamento organizzativo emerge che lo stile di leadership rappresenta il più importante fattore abiliante o, contemporaneamente anche ostativo, a seconda di quanto la leadership sia diffusa e con quali modalità, sintetizza Andrea Cioffi, con a seguire il livello di maturità digitale delle persone (52%), il modello organizzativo adottato 51,47% e la tecnologia a supporto dello svolgimento del lavoro (43%).

Employer branding: solo 1 azienda su 2 ha strategia – Dalla ricerca infatti emerge inoltre come le imprese rispondenti adottino approcci poco strutturati in materia di “employer branding”, ovvero quell’insieme di valori e qualità che l’azienda riesce, con la comunicazione soprattutto, a trasferire al proprio marchio rendendosi attrattiva per mercato, consumatori e forza lavoro soprattutto.

“Un ambito professionale, quello dell’employer branding ancora poco esplorato e che quindi può rappresentare un’opportunità per il futuro, se colta per tempo- commenta il vicepresidente di IAA Italy-Infatti solo il 44% delle aziende ha infatti formalizzato una strategia di employer branding, pur in assenza di metodologie formalizzare da seguire, visto che il 64% dei manager dichiara che ‘non è stato seguito nessun modello per la formulazione della strategia di employer branding”.

Inoltre, solo il 40% dei rispondenti dichiara di avere una strategia per la comunicazione verso l’esterno della strategia di employer branding, percentuale che scende al 35% se si considera la comunicazione interna. “Ciò è preoccupante- commenta Cioffi di IAA- se si considera la rilevanza che la comunicazione interna sta assumendo in un contesto economico caratterizzato ancora da prossimità limitata”. (Red/ Dire) 05:00 27-06-22

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