(DIRE) Roma, 27 Giu. – 15 minuti al giorno di media – ma non per finalità lavorative bensì tempo dedicato alle chat, a Whatsapp, a Facebook o semplicemente a consultare Google – moltiplicati per 3,5 milioni di dipendenti pubblici della PA: secondo un’indagine di Susini Group, studio di Firenze leader nella consulenza del lavoro, queste ‘distrazioni’ costano un botto al contribuente, oltre 2 miliardi di Euro l’anno.
Al dato si è arrivati intervistando 300 dipendenti pubblici che hanno ammesso di trascorrere in media 15 minuti al giorno sulla rete e non per motivi professionali. Sicuramente, la pandemia e il lockdown hanno contribuito notevolmente all’estensione del fenomeno poiché il web è stato per lungo tempo l’unica finestra sul mondo esterno. Secondo Sandro Susini, consulente del lavoro e fondatore di Susini Group, “non vanno criminalizzati i dipendenti ma vanno migliorati i controlli.
D’altronde, anche la maggior parte dei contratti collettivi nazionali del lavoro non disciplinano gli inadempimenti e le relative sanzioni per coloro che utilizzano in modo improprio internet. Questo significa che siamo dinanzi a un fenomeno ‘giovane’. In molti casi siamo dinanzi a una vera e propria dipendenza psicologica dai social che non si placa neanche durante l’orario di lavoro: basta un bip per distogliere l’attenzione e la concentrazione dall’attività svolta e indirizzarla sul telefonino per rispondere a Whatsapp o all’SMS appena ricevuto.
Nel settore privato molte aziende si sono già attrezzate per cercare di limitare questo malcostume diffuso che incide negativamente sulla produttività del lavoratore oltre che gravare sul costo del personale. Sono ormai numerose le sentenze che condannano l’utilizzo improprio di internet sul luogo di lavoro e autorizzano il datore di decidere modalità e tempi di uso del cellulare o di vietarne proprio l’utilizzo nel regolamento aziendale.
Nel settore privato il datore di lavoro mette sotto controllo cellulari, pc e tablet aziendali dati in uso ai propri dipendenti oppure limita la navigazione sui social network dei propri lavoratori predisponendo dei filtri di accesso dai terminali”.
“Ritengo che mettere in pratica anche nelle PA ciò che nel privato è già stato positivamente sperimentato, potrebbe essere una soluzione per, quantomeno, attenuare il ‘vizio social’ sul luogo di lavoro”, conclude Sandro Susini. (Red/ Dire) 06:05 27-06-22