(DIRE) Bologna, 26 Mag. – Si è presentato ieri pomeriggio al Pronto soccorso del Sant’Orsola il cittadino cileno di 35 anni diventato il primo caso di vaiolo delle scimmie identificato in Emilia-Romagna. “Il soggetto proveniva da Madrid e mostrava segni clinici” tipici della malattia, conferma Tiziana Lazzarotto, direttrice della Microbiologia del Policlinico Sant’Orsola di Bologna. In particolare aveva “vescicole sulle mani e sulla pianta dei piedi”, anche se “in numero basso”. Quando è stato visitato, precisa Lazzarotto, “è stato posto subito in isolamento e sono stati avvisati gli infettivologi per la presa in carico”. E’ stato sottoposto al tampone previsto per questi casi, che prevede anche il prelievo del liquido infetto contenuto nelle vescicole. Il materiale è stato quindi esaminato dal Laboratorio di microbiologia del Sant’Orsola, centro di riferimento regionale, e “nel giro di qualche ora abbiamo confermato il caso”, spiega Lazzarotto. Che aggiunge: “Siamo pronti davanti a qualsiasi emergenza e urgenza”. Il vaiolo delle scimmie, spiega poi la microbiologa in un video realizzato proprio a scopo divulgativo dallo stesso Policlinico, è un virus presente tipicamente negli animali e in particolare nei primati, e che “occasionalmente può infettare anche l’uomo”.
Il contagio tra esseri umani, però, avviene solo con un “contatto diretto e molto stretto con il liquido contenuto nelle vescicole- precisa Lazzarotto- il virus è presente pure nell’orofaringe o anche in altri liquidi biologici”, ma per il contagio è sempre necessario “un contatto molto stretto”. Evitarlo, soprattutto il contatto pelle a pelle con chi è infetto, è dunque la prima misura di prevenzione utile contro la malattia, sottolinea la scienziata. Si tratta comunque di una “malattia autolimitante” nell’uomo, precisa Lazzarotto, che in genere si risolve da sola “nel giro di due o quattro settimane” e senza l’utilizzo di farmaci specifici. Fino a poco tempo fa, continua a microbiologa, i soggetti contagiati dal vaiolo delle scimmie in genere “provenivano da aree endemiche”, come alcuni Paesi dell’Africa, oppure avevano avuto “contatti stretti nell’ambito animale”. A partire da maggio, invece, si è diffusa la presenza in alcuni Paesi europei, e ora anche in Italia, di persone ammalate che però “non hanno avuto un contatto stretto con i Paesi in cui circola il virus- spiega ancora Lazzarotto- questo è dovuto probabilmente a focolai endemici che hanno dato avvio alla circolazione anche importante di questo virus in questo momento”. Per identificare la malattia, riferisce infine la microbiologa, il caso sospetto viene prima di tutto sottoposto a un’osservazione clinica, in particolare delle vescicole. Dopodichè, sul paziente vengono eseguiti alcuni prelievi, tra cui quello del liquido vescicolare con un tampone. Viene inoltre preso un campione di sangue e fatto un tampone faringeo. Su questo materiale biologico viene poi eseguito un test molecolare attraverso cui si identifica “con certezza” il Dna del virus. (San/ Dire) 16:17 26-05-22