Mauritius. Attivisti Chagos: no ai viaggi retorici, consultateci

Chagossians voices esuli: missione su isole è perdita di tempo

(DIRE) Roma, 17 feb. – “Questo viaggio del governo delle Mauritius è una perdita di tempo e di soldi, il punto è solo uno: siamo noi che abbiamo diritto all’autodeterminazione come popolo e siamo noi che dobbiamo essere consultati per quanto riguarda le Chagos, siamo gli abitanti originari delle isole eppure siamo ignorati”. A parlare sono esponenti dell’organizzazione Chagossians Voices, una piattaforma della diaspora fondata nel 2020 e ora attiva in Gran Bretagna, dove ha sede e dove è presente in diverse città, ma con ramificazioni anche alle Seychelles e alle Mauritius. I tre Paesi appena citati sono quelli che hanno ospitato gli abitanti dell’arcipelago dopo che questi sono stati costretti a lasciare le loro isole tra il 1968 e il 1973, principalmente per fare posto a una base militare americana concessa dalla Gran Bretagna all’alleato sul più grande degli atolli dell’arcipelago, Diego Garcia. Londra ha infatti controllato le isole dal 1814, anno in cui gli sono state cedute dalla Francia, sostanzialmente fino a oggi.

Il tema della sovranità sulle Chagos è tutt’altro che pacifico però, ed è anzi al centro di una disputa territoriale con le Mauritius che ha più di mezzo secolo. Il Paese insulare si è infatti dichiarato indipendente da Londra nel 1968, tre anni dopo che il Regno Unito decidesse di separare amministrativamente alcune isole, tra le quali le Chagos, e di costituire i cosiddetti British Indian Ocean Territory (Biot) tramite i quali amministra gli atolli, abitati ormai solo da militari e contractors legati alla base Usa, fino a oggi.

Il tema è tornato di attualità sulle pagine dei giornali di tutto il mondo in questi giorni: il governo delle Mauritius ha organizzato una spedizione in nave verso le isole, ufficialmente con la ragione di mappare il territorio di uno degli atolli ma anche “nell’esercizio della propria sovranità” sull’arcipelago, come specificato dal primo ministro di Port Louis, Pravind Jugnauth.

In settimana, per la prima volta da decenni, la bandiera mauriziana è stata issata sul territorio delle isole, con tanto di celebrazione ufficiale e inno nazionale cantato dai membri della delegazione.

“Fumo negli occhi” però, a detta degli attivisti di Chagossians Voices, nati per la maggior parte in esilio, chi alle Mauritius e chi nel Regno Unito: “Dobbiamo partire dal fatto che il governo delle Mauritius non ha alcun diritto di rappresentarci. Le Chagos devono essere rappresentate da coloro che sono stati sfrattati e non dalle isole che hanno ottenuto l’indipendenza negoziandone il destino con Londra, senza consultarne gli abitanti”, afferma  Frankie Bontemps Elyse, uno degli esponenti del direttivo dell’organizzazione, in riferimento al processo che nel 1965 ha portato alla nascita dei Biot.

L’atteggiamento del governo del premier Jugnauth sarebbe poi giudicato come ipocrita per più ragioni. “Ci hanno sacrificato quando hanno potuto e ora si mostrano come paladini dei nostri diritti – prosegue Bontemps – ma l’obiettivo è ottenere simpatia e appoggio dal resto del mondo, nell’ottica di trarne dei vantaggi futuri in termini economici”.

Fra questi ci potrebbero essere i soldi di compensazione per l’espulsione dei chagossiani, già destinati alle Mauiritius da Londra in almeno due diverse occasioni negli anni ’70 e ’80. “Ricevere soldi per affittare poi le isole agli Stati Uniti per 99 anni senza di certo restituirle a noi”, aggiunge un altro degli attivisti, Jean-Francois Nellan, in riferimento a una proposta avanza da Jugnauth al governo dell’allora presidente Donald Trump nel 2020.

Il nodo centrale è quindi l'”autodeterminazione”, ribadiscono gli esponenti di Chagossians Voices, rilanciando anche i contenuti di un parere non vincolante con cui la Corte internazionale di giustizia dell’Onu ha esortato Londra a rinunciare alle sovranità sulle isole nel 2019. Pochi mesi prima anche l’Assemblea generale del Palazzo di vetro si era
pronunciata nelle stessa direzione con una risoluzione.

Anche rispetto al procedimento del Tribunale dell’Onu ci sono importanti criticità però, questa la tesi degli attivisti. “I diritti dei chagossiani sono stati completamente sovrapposti a quelli degli abitanti delle Mauritius, che hanno presentato il caso alla Corte, a partire dall’idea che gli abitanti delle isole hanno origini mauriziane”, spiega Bontemps, che chiarisce: “Non è così, abbiamo origini diverse, una lingua, una religione e una cultura diversa, e questo è importante da tenere in conto e rafforza il concetto che i proprietari delle Chagos siamo solamente noi abitanti originari”.

Le specificità degli abitanti dell’isola sarebbero anche ragione di possibili discriminazioni. Questo è uno dei motivi per cui Chagossians Voices non si batte per il ritorno delle isole alle Mauritius quanto piuttosto per un nuovo modo di gestire la vicenda che parte dal diritto dei nativi e dei loro eredi a decidere sul loro destino. “La maggior parte della popolazione delle Mauritius, circa il 70 per cento, è di origine indiana e di religione induista, e questo gruppo sociale concentra tutto il potere”, sottolinea l’attivista. “Noi siamo cattolici, come si evince anche dai nostri nomi, e sappiamo bene per esperienza di essere giudicati cittadini di serie B, a esempio quando si tratta di trovare lavoro, e soprattutto nell’amministrazione pubblica”.

Le responsabilità sono anche britanniche però. Secondo gli appartenenti dell’organizzazione “sembra che Londra stia
aspettando che tutti i discendenti diretti degli esiliati chagossiano muoiano, per potersi confrontare con nuove generazioni in modo diverso”. La tesi degli attivisti è però che “non è dato sapere quando potremmo fare ritorno nelle Chagos”, al momento negato dalla giustizia britannica in più occasioni, e che è quindi importante impostare la relazione con Londra in modo diverso.

“Vogliamo lavorare con le autorità britanniche per migliorare la nostra vita qui, a partire dal nostro diritto alla cittadinanza, che non è stata concessa a tutti i discendenti egli esiliati”, affermano i militanti, attivi con una campagna affinché un disegno di legge su migrazione e cittadinanza al momento in discussione nel Parlamento di Londra integri degli emendamenti che comprendano una misura su questo aspetto.

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