Il 31 Gennaio si è svolta l’apertura dell’Anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro (Teic) e Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro d’appello (Teica). I lavori si sono svolti nell’aula magna Vittorio Mondello del Seminario arcivescovile Pio XI di Reggio Calabria presieduti dai due moderatori, monsignor Fortunato Morrone (Teic) e monsignor Claudio Maniago (Teica) con le relazioni dei corrispettivi vicari giudiziali, monsignor Vincenzo Varone e monsignor Erasmo Napolitano. Si tratta della prima inaugurazione presieduta dai due arcivescovi che recentemente sono stati nominati da papa Francesco alla guida della Chiesa di Reggio – Bova e di Catanzaro – Squillace. Ha tenuto la prolusione monsignor Alejandro Arellano Cedillo, decano del Tribunale della Rota Romana. Alla cerimonia erano presenti i vescovi della Conferenza episcopale calabra (Cec), radunata in riva allo Stretto per la sessione invernale, accanto alle massime autorità civili e militari del territorio.
Un appuntamento che si rinnova dopo lo stop subito lo scorso anno a causa dell’emergenza pandemica. Quest’anno, inoltre, è la prima volta che l’apertura dell’anno giudiziario del Teic e del Teica avviene in contemporanea. Il Teic opera in Calabria da 81 anni ed «è una storia di molte persone che ci hanno messo il cuore per espletare un “munus” che ha dato al popolo di Dio un apporto specifico contribuendo alla “salus animarum”». Queste le parole – in apertura di relazione – del vicario giudiziale del Teic, monsignor Vincenzo Varone.
Il vicario giudiziale ha passato in rassegna i ruoli cardine all’interno del Tribunale ecclesiastico: dal giudice alla struttura giudiziaria, composta da 13 dipendenti. Riferendosi alle prime figura, Varone ha specificato come «tale compito è molto prezioso ma molto gravoso, sia in termini di lavoro, sia in termini di coscienza; il lavoro impegna un tempo che i giudici, quasi tutti sacerdoti, vivono nel silenzio in un’opera che li vede impegnati a fare un discernimento di sapienza».
Nel 2021 sono state introdotte meno cause rispetto all’anno precedente e si è registrata un’ulteriore accelerazione rispetto a quelle portate a conclusione. Statisticamente è un anno positivo, quello da poco concluso, per il Teic. In generale su 139 cause decise, è stata dichiarata la nullità di 136 matrimoni ed è stata constatata la validità di 3 matrimoni. I libelli introduttivi sono calati. Questa, secondo gli esperti del Teic, non è però una buona notizia: evidenzia, infatti, il sopravvenire sempre più crescente della cultura anti famiglia-matrimonio.
Il lavoro dei giudici è stato molto proficuo con un aumento delle cause portate alla decisione (+39). In calo anche i processi Brevior.
Rispetto ai motivi che portano alla nullità di matrimonio, per il 58,17% dei casi si tratta di «grave difetto di discrezione di giudizio». Si tratta di una conferma: in Calabria, la discrezionalità è spesso offuscata dall’assenza di un «impegno vero e responsabile dell’essere coinvolto in una relazione coniugale».
Ma perché questo avviene? Dall’analisi dei casi esaminati dai giudici del Teic si passa da «anomalie psichiche a problematiche che interessano lo sviluppo normale del soggetto in ambito sia familiare che sociale».
Tra gli altri capi di nullità maggiormente frequenti vi sono l’«esclusione della prole» (21 casi) e «esclusione dell’indissolubilità del matrimonio» (16 casi).
Le conclusioni del vicario giudiziale del Teic aprono profondi spiragli di riflessione: «Il nostro popolo cristiano sta cedendo sempre più alle “mode” dei tempi moderni con la chimera di una vita libera da figli e da vincoli stabili e duraturi», ha concluso Varone.
Il vicario giudiziale del Teica, monsignor Erasmo Napolitano, ha chiarito come «La riforma del processo matrimoniale varata da papa Francesco con il motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, ha abolito l’obbligo della doppia sentenza conforme, ma non la possibilità di appellare la sentenza di nullità del matrimonio». Nel corso del 2021 in Calabria sono state appellate tre cause: «una di esse riguarda un processo brevior definito in un’Arcidiocesi metropolitana della Regione Calabra. Una delle parti – racconta Napolitano – ha fatto appello al vescovo più anziano della Metropolia, il quale, con suo Decreto, ha ammesso l’appello e ha trasmesso gli atti al Teica affinché proceda all’esame ordinario di secondo grado della causa».
Monsignor Alejandro Arellano Cedillo durante la sua prolusione ha chiarito che «la giurisprudenza della Rota Romana non ha soltanto un valore morale, ma ha una forza cogente affinché la libertà di giudizio non si traduca mai in arbitrarietà». «La pluralità dei tribunali non può pregiudicare l’unità della Chiesa, – ha proseguito Arellano Cedillo – è evidente che l’ordinamento giuridico ecclesiale non è al servizio della “convivenza” tra i fedeli, ma a difesa dei valori. Non dimentichiamoci, infatti, che l’indissolubilità del matrimonio è voluta da Cristo». Poi le conclusioni del decano del Tribunale della Rota Romana: «Il Santo Padre ci spinge a essere molto diligenti. Una volta si diceva che la Rota Romana era “la morte delle cause”. Adesso, è sotto gli occhi di tutti che siamo vivi e vegeti».