(DIRE) Roma, 25 Nov. – In Sudan la società civile è tornata in piazza a manifestare contro l’esercito, che lo scorso 25 Ottobre con un colpo di stato ha destituito il governo di transizione. Stando alle fonti di stampa internazionale, diverse migliaia di persone hanno aderito a Khartoum e nei sobborghi di Ondourman e Al-Daim, mentre le dirette rilanciate sui social network testimoniano di un’ampia mobilitazione anche nelle città di Port Sudan, Kassala, Wad Madani e El Geneina. Le iniziative di oggi sono volte a ribadire il netto rifiuto verso l’accordo stretto domenica scorsa tra l’esercito e l’ex primo ministro Abdalla Hamdok. Quest’ultimo, agli arresti dal 25 ottobre, è stato rilasciato e reintegrato nelle sue funzioni, per dirigere un governo tecnico incaricato di organizzare le elezioni entro il 2023. Una gran parte delle organizzazioni democratiche hanno bocciato l’intesa esigendo l’uscita definitiva delle Forze armate dalla scena politica del Paese. Al motto di “la rivoluzione appartiene al popolo, esercito vattene” e “Burhan non vincerai, fermiamo il potere dei militari”, i dimostranti hanno espresso la loro opposizione verso le forze armate e il generale Abdel Fattah Al-Burhan in particolare, che ha diretto il golpe. Inoltre, i cortei hanno denunciato la morte dei “martiri”, ossia dei 42 civili che hanno perso la vita nelle manifestazioni popolari scoppiate da fine ottobre a causa degli interventi violenti delle forze sudanesi. Stando al Central Committee of Sudan Doctors (Ccsd), tutte le vittime sarebbero decedute a causa di colpi d’arma da fuoco riportati nel 60% dei casi a testa e collo e nel 35% al petto. Solo in due casi i proiettili hanno colpito schiena o gambe. A Khartoum, i manifestanti hanno scandito anche lo slogan “il Darfur sanguina”, e “tutto il Paese è il Darfur” a causa delle violenze registrate negli ultimi giorni nella regione. “Scontri sanguinosi” confermati ancora dal Central Committee of Sudan Doctors, che in un comunicato delle ultime ore dà l’allarme anche sui roghi di abitazioni, e per via dei numerosi morti e feriti registrati nella regione. L’organizzazione quindi lancia “un appello alla comunità internazionale e alle organizzazioni umanitarie locali e internazionali affinché contribuiscano a ridurre l’intensità del conflitto e a neutralizzare le forze armate e le milizie in modo da garantire che le armi da fuoco non vengano utilizzate”. Il Comitato centrale dei medici ritiene “l’autorità golpista e il suo apparato militare e di sicurezza pienamente responsabili” non solo dei morti e dei feriti, ma anche della “diffusione incontrollata e senza scrupoli delle armi in tutto il Darfur e l’armamento di gruppi contro altri”. Nel Darfur, a partire dal 17 novembre, sono ripresi gli scontri tra pastori di etnia araba nelle zone di confine col Ciad. Da allora almeno 35 persone hanno perso la vita mentre 16 villaggi sono stati distrutti, come ha riferito ai media internazionali il Commissario sudanese agli aiuti umanitari Omar Abdelkarim. Il Darfur è stato teatro di una guerra civile nel 2003 di cui è stato ritenuto responsabile l’allora presidente Omar Al-Bashir. A fine 2018, ampie manifestazioni popolari contro il generale Bashir hanno indotto l’esercito a deporlo e a negoziare la formazione di un governo ad interim composto da civili e militari, con a capo il premier Hamdok. (Alf/Dire) 17:13 25-11-21