In campo dopo Herat anche per chi non ha potuto lasciare Paese
(DIRE) Roma, 15 nov. – Una nuova vita in Italia che è “un sogno che si avvera”, ma che non può dirsi realizzato completamente “fino a che anche le altre calciatrici che vivono in Afghanistan e i loro familiari riusciranno a lasciare il Paese e a vedere il loro di sogno, diventare realtà”. Speranze, che sono anche un appello, quelle che all’agenzia Dire affida Maryam, una delle calciatrici del Bastian Fc di Herat che sono giunte in Italia lo scorso agosto nel corso delle operazioni di evacuazione dal Paese che hanno seguito la presa del potere da parte dei talebani.
Le giocatrici, dal capoluogo dell’omonima provincia occidentale dell’Afghanistan, sede del contingente italiano nel Paese durante il periodo di presenza della missione Nato, sono state trasferite a Firenze, dove vivono ancora. Oggi corrono però a Roma, indossando le divise blu della squadra della “parità” e quelle bianche della compagine dei “diritti”. Queste infatti le due squadre, ma anche i due elementi cardine che animano l’iniziativa che si è svolta presso l’impianto sportivo Fulvio Bernardini di Pietralata, nel quadrante nord-est della capitale.
La partita della ‘Parità e del rispetto’ appunto, così stata ribattezzata l’iniziativa, rappresenta una tappa di avvicinamento alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ed è stata scandita dal motto ‘Facciamo pari’, “contro ogni discriminazione e a sostegno dell’articolo 3 della Costituzione perché si affermi davvero un’uguaglianza sostanziale, senza ambiguità né pregiudizi”, come si legge in una nota.
Il match, promosso da Amnesty International Italia, Assist, Aic- Associazione italiana calciatori, Sport4Society, Uisp e Usigrai, con la collaborazione di Cospe e il patrocinio dell’Ufficio nazionale contro le discriminazioni razziali, Unar, ha visto scendere in campo ex calciatori, cronisti sportivi, attori, personaggi delle istituzioni e attivisti.
“Non ho parole per descrivere quello che è stata questa giornata”, sorride Maryam, circa 20 anni. “Una giornata del genere, e anche il solo poter giocare a calcio, è impensabile” nell’Afghanistan controllato dai talebani. Il pensiero va però ad alcuni dei loro familiari e delle loro compagne con cui hanno dei contatti in Afghanistan, “che non possono più uscire di casa”, denuncia la sportiva.
Timori confermati all’agenzia Dire anche da Anna Meli, direttrice della comunicazione di Cospe. L’organizzazione è impegnata al tavolo di coordinamento istituito con le ong dal ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale con l’obiettivo di facilitare l’uscita dal Paese di decine di persone. “Sono almeno 150, tra nostri ex collaboratori, le loro famiglie e le famiglie delle calciatrici, le persone che vogliamo inserire nelle liste per i corridoi umanitari”. Il riferimento di Meli è all’iniziativa lanciata la settimana scorsa con la firma di un protocollo d’intesa siglato con i ministeri degli Esteri e degli Interni dalle Conferenza episcopale italiana (Cei), la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche italiane (Fcei), la Tavola Valdese e Caritas Italia, oltre alle agenzia Onu Unhcr e Oim.
“L’obiettivo è portare qui 1.200 persone in due anni, ma questo è un lasso di tempo troppo lungo”, avverte Meli. “Ci sono diverse persone che hanno subito minacce concrete, compresi i familiari delle calciatrici, stigmatizzate proprio per il fatto di aver lasciato il Paese: dobbiamo accelerare i tempi”. Alcune persone, aggiunge la responsabile della comunicazione della ong, “hanno trovato soccorso in una casa rifugio della ong Pangea nella capitale Kabul”, ma la situazione resta “molto complessa”.
Meli aggiunge: “Abbiamo anche chiesto rassicurazioni sul fatto che si possano aprire canali privilegiati nel caso in cui queste persone riuscissero ad arrivare nei vicini Pakistan o Iran, e dialoghiamo in questo senso con la Farnesina e la nostra ambasciata nel Paese, che ora è in Qatar”.