Etiopia. Addis Abeba, arresti tra i sostenitori dei ribelli

Fonti ‘Dire’: milizie Tigray malviste, assalto non è imminente

(DIRE) Roma, 8 nov. – “In città sono in corso arresti preventivi di simpatizzanti dei ribelli; questi a ogni modo ci penseranno due volte prima di tentare l’assalto di Addis Abeba, perché sono malvisti e perché la popolazione urbana è due volte quella della regione del Tigray”: a parlare con l’agenzia Dire sono fonti nella capitale dell’Etiopia.
Il colloquio si tiene dopo che ieri decine di migliaia di persone, centomila secondo alcune stime, hanno partecipato a cortei e dimostrazioni per esprimere il proprio sostegno al governo federale guidato da Abiy Ahmed. Il primo ministro, in carica dal 2018, insignito del Nobel per la pace per l’accordo di riconciliazione siglato con l’Eritrea dopo 20 anni di tensioni e conflitti, vive il suo momento più difficile. Le milizie del Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf) hanno assunto la settimana scorsa il controllo di Dessie e Kombolcha, due città ritenute strategiche a circa 300 chilometri di distanza da Addis Abeba.
Secondo le fonti della Dire, nella capitale la situazione resta nel complesso tranquilla. “Non c’è alcuna corsa ad approvvigionarsi di benzina o beni essenziali” riferiscono. “La preoccupazione maggiore non riguarda l’assalto, che a oggi non sembra imminente, quanto piuttosto la presa di Kombolcha e il rischio che i ribelli taglino i collegamenti tra Addis Abeba e Gibuti, porto strategico sul Mar Rosso che garantisce all’Etiopia l’accesso ai mercati internazionali”.
La tesi è che il Tplf, un partito radicato in una regione del nord al confine con l’Eritrea, abbia lasciato un ricordo negativo nella capitale. “Dopo essere stati disprezzati e marginalizzati ai tempi del colonialismo italiano e aver lottato contro il regime di Menghistu Hailé Mariam, i tigrini hanno esercitato il potere per quasi 30 anni con il primo ministro Meles Zenawi” ricordano le fonti: “Per la loro durezza e arroganza, unite a una gestione partigiana della cosa pubblica, si sono fatti odiare; da perseguitati sono diventati a loro volta persecutori”.
Durante le manifestazioni di ieri sono stati esposti striscioni e intonati slogan in favore dell’unità dell’Etiopia e contro l’offensiva del Tplf e di suoi nuovi alleati, come l’Esercito di liberazione oromo (Ola). Contestata però anche la copertura del conflitto, cominciato un anno fa, da parte di alcuni media internazionali. Stando ai dimostranti, ad esempio, l’emittente americana Cnn avrebbe dato conto quasi soltanto delle motivazioni del Fronte di liberazione popolare del Tigray.
Secondo le fonti della Dire, non legate a partiti né ad associazioni di matrice politica, dalla sua entrata in carica Abiy si è impegnato per un superamento delle divisioni tra le comunità del Paese. Una delle sue parole chiave è stata “medemer”, il fare insieme. “La guerra non l’ha voluta ma l’ha subita” sostengono le fonti. “Al contrario il Tplf ha cercato di incendiare la regione, lanciando missili sulla città di Bardar e bombardando Asmara, la capitale dell’Eritrea, poi intervenuta con le sue truppe nel conflitto in Tigray”.
Proprio ad Asmara potrebbero ricollegarsi alcune delle scelte delle parti in lotta. Secondo le fonti ad Addis Abeba, “se il Tplf cercasse di entrare nella capitale rischierebbe di subire una controffensiva da parte dell’Eritrea, che è in grado di occupare il capoluogo tigrino Macallè”.
Sabato, 16 Paesi hanno rivolto un appello in favore di una tregua Australia, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Islanda, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Stati Uniti e Svezia hanno anche riconosciuto l’impegno del governo etiope, attraverso la sua Commissione nazionale per i diritti umani, nell’indagare sulle denunce di violazioni e abusi dei diritti umani commessi dalle parti in conflitto tra l’inizio delle ostilità e il 28 giugno scorso.
Secondo stime rilanciate dalle Nazioni Unite, in un anno di guerra i morti sono stati migliaia. Oltre due milioni gli sfollati e 400mila le persone, solo nel Tigray, messe a rischio da una carestia.

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