Non lo nego: nelle tempeste quotidiane più d’una volta ha fatto capolino sull’uscio anche delle mie giornate l’eco delle parole di Marcel Proust. Lo scrittore francese, che spese la sua esistenza alla ricerca del tempo perduto, quasi fosse una leggendaria isola in mezzo ai mari della realtà, celava dietro questa impossibile ricerca il distacco da un presente che appariva distante dai suoi ideali, dai suoi desideri, dal mondo voluto ed amato nei sogni.
Il ripiegarsi nel passato, specie nelle ore difficili, o comunque sovrastate dall’amarezza del ritrovarsi confusi di fronte agli eventi che si susseguono in maniera tumultuosa e a volte incomprensibile, come davanti al mutare degli uomini e dei loro atteggiamenti, è esperienza comune. È allora che si ritiene possa essere utile lenimento rannicchiarsi nel ricordo di ciò che era. Ma il viso che volge sempre lo sguardo al tramonto del giorno prima, mentre il passo si muove lesto sui sentieri di quello che viene, è il segno d’una nostalgia che è sofferenza, rifiuto del cambiamento per ciò che il tempo distrugge, rabbia impotente davanti al tempo devastatore, che non si limita a passare, ma annienta. È insomma una sorta di buco nero che pare adatto a risucchiare lutti e perdite, dolore e impotenza.
Certo: senza passato si è poveri, senza memoria non si ha la forza di progredire, senza radici si è perduti. Ed è questo uno dei rischi più seri per la contemporaneità, priva della dovuta attenzione ad un passato che dovrebbe essere invece luce per l’avvenire. E tuttavia il vivere in uno stato di permanente distacco del progresso, nell’incapacità di andare avanti prigionieri della malinconia, si traduce spesso in una malattia della psiche, come osservano gli psicoterapeuti; in uno spirito che gela e paralizza.
Avanti, dunque, anche quando tutto sembra perduto, anche quando tutt’attorno (e negli occhi del prossimo) non sembra esservi spazio più spazio nemmeno per la speranza. Perché un sentimento così complesso e importante si riveli non solo profondo, ma anche utile, è necessario tenerlo orientato al domani. Da cristiani, possiamo essere capaci di una straordinaria forza quando riusciamo a nutrire la nostalgia dell’incontro con Cristo – che è avvenuto, avviene e avverrà – e di noi stessi, che in virtù di quell’incontro cerchiamo e seminiamo tracce di bontà e di gioia assaporata. «Non possiamo restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre, nelle lamentele di ogni giorno», ci ricorda anche Papa Francesco. Al contrario, aggiunge il Santo Padre, «abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce. E questo si fa con umiltà, senza grande pubblicità».
L’augurio? Poter ritrovare ovunque e altrove il proprio paese natale, quello dove la vita nasce e rinasce. E guardando alla madre che magari non c’è più, affiancare alle lacrime pe r la sua mancanza il sorriso che deriva dal riconoscerne e perpetuarne l’unicità, nell’unica nostalgia che è veramente benefica: quella del futuro.