Riceviamo e Pubblichiamo
Gent.mo Direttore,
Apprendo dalla sua testata la notizia della proposta della Giunta Comunale di conferire la cittadinanza onoraria ad Abdullah Öcalan, esponente di punta del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) all’ergastolo dagli anni Novanta per attività terroristica nel carcere di Imralı in Turchia, e descritto non solo come «leader del popolo curdo», ma soprattutto come figura «fondamentale nel processo di pace in Medio Oriente». Nella nota pubblicata da IlMetropolitano.it (https://www.ilmetropolitano.it/2021/02/16/reggio-calabria-cittadinanza-onoraria-ad-abdullah-ocalan/) si legge che l’attuale amministrazione reggina, guidata dal sindaco Giuseppe Falcomatà, perorerebbe la causa come una «questione di rispetto dei diritti umani e delle minoranze etniche come parte integrante dei valori fondamentali a cui si ispira la Costituzione Italiana per cui l’appoggio ai popoli oppressi risulterebbe necessario a contrastare conflitti interetnici per una pace duratura».
In tale luce, il Vice Sindaco si riferisce a Öcalan come «simbolo vivente della lotta del popolo curdo per il suo riconoscimento ed ha trasformato la battaglia per l’autodeterminazione della sua gente in un progetto di democratizzazione e di liberazione della società, noto come Confederalismo democratico, che non riguarda solo i curdi, ma tutta la Turchia, la Siria, il Medio Oriente e l’umanità intera». A questo si aggiunge che lo stesso fondatore del PKK per decenni «ha operato per trasformare il conflitto da lotta armata in movimento di rinnovamento delle istanze sociali con l’obiettivo di raggiungere, attraverso un profondo cambiamento culturale, una pace giusta e duratura a cominciare dalla democratizzazione della Turchia».
Su questo mi permetto di asserire con convinzione che quanto dichiarato dai massimi rappresentanti della città di Reggio Calabria necessiti di una revisione approfondita perché denota una seria lacuna cognitiva di fatti storici, oltre ad essere il riflesso di un’interpretazione ideologica che, in quanto tale, si discosta dal vero. Procedendo con ordine, il fatto che Abdullah Öcalan abbia ricevuto delle onorificenze da alcuni comuni italiani non fa di questo signore un eroe, anzi stride molto con le posizioni adottate a livello centrale dall’Italia che, come Stati Uniti, Unione Europea e gran parte della comunità internazionale, inclusa la Turchia, riconosce il PKK come organizzazione terroristica.
La storia recente è ricca di episodi violenti e di azioni terroristiche a firma PKK, specialmente in Turchia, dove tale organizzazione cavalca l’onda di mai sopite velleità separatiste, così come altrove nella regione. Senza andare troppo in là nel tempo, è soltanto di una settimana fa la notizia dell’attacco nel Nord Iraq in cui ha perso la vita un cospicuo numero di turchi (https://www.aljazeera.com/news/2021/2/11/three-turkish-soldiers-killed-in-northern-iraq). Non vi è dubbio, dunque, che trattando questi temi il riferimento alla Turchia sia d’obbligo. Quella curda, infatti, è da sempre la questione più critica e dibattuta in riferimento alla strutturazione della Turchia come stato moderno. Nel processo di costruzione della nazione a partire dal 1923, il processo di secolarizzazione e sicurizzazione hanno svolto un ruolo chiave, mirando a stabilire una nuova identità accettabile per tutti gli elementi etno-religiosi della Turchia.
Tuttavia, sebbene sia stato proclamato a livello costituzionale che la sovranità risiede nella “nazione turca”, sin da subito i vari governi hanno dovuto affrontare il problema dei musulmani non turchi di Anatolia. Appartenendo a un gruppo etnico diverso e parlando una lingua diversa dal turco, i curdi hanno da subito cercato il diritto di esprimere liberamente la propria identità, senza che questo venisse percepito come un ostacolo all’inclusione nella nazione turca. Inoltre, poiché in termini legali la popolazione curda non è identificata come una minoranza etnica o religiosa, la questione è sostanzialmente correlata ad alcune persone con una propria storia, cultura e lingua e un particolare attaccamento a un territorio specifico, assimilati per legge costituzionale allo Stato turco.
Tali istanze si sono cristallizzate nel tempo e la ‘questione curda’ è stata il riflesso di un fragile equilibrio. Negli ultimi 40 anni, il PKK fondato da Abdullah Öcalan ha condotto una sanguinosa campagna per l’autonomia e l’autogoverno nelle regioni prevalentemente curde dell’Anatolia sudorientale e ad oggi si contano più di 60.000 vittime tra civili e forze di sicurezza. Risulta, quindi, doveroso sottolineare che i gruppi curdi più moderati si sono dissociati dal ricorso alla violenza e si sono a impegnati a trovare una soluzione politica, facendosi portavoce di istanze identitarie all’interno del gioco parlamentare.
La storia turca è ricca di esempi di gruppi politici curdi, da ultimo il patito HDP, che sono pienamente rappresentati in Parlamento. I curdi, dunque, non devono essere percepiti come un gruppo monolitico perché ciò non renderebbe giustizia prima di tutto a loro stessi. In altre parole, deve essere chiaro che il PKK non rappresenta indistintamente i curdi perché non tutti si identificano nelle azioni violente, anzi riconoscere tale organizzazione come loro assoluta rappresentante va a scapito degli interessi di chi cerca di sostenere la propria causa con mezzi pacifici. Questo deve essere il punto da cui avviare ogni disquisizione, soprattutto per chi si rende paladino di battaglie e campagne politiche non proprie. Senz’altro è necessaria una buona dose di consapevolezza nel riconoscere che la ‘questione curda’ ha delle chiare ripercussioni regionali, fatte di alleanze e tutela di interessi. I rappresentanti istituzionali reggini fanno riferimento a progetti di pace e stabilità, alla democratizzazione per il Medio Oriente e per l’intera umanità, obiettivo a cui tutti aspiriamo e su cui gli studiosi dell’area sono concentrati da tempo. Oggi il grado di incertezza regionale è estremamente elevato e i contesti di crisi destano non poche preoccupazioni. La Turchia condivide la minaccia dei gruppi separatisti con altri attori regionali, incluso l’Iran che combatte l’azione del PJAK (Partito della vita libera del Kurdistan), inteso come ala sorella del PKK.
La stessa preoccupazione si respira anche in Siria dove il YPG è di fatto rimasto solo contro le forze di Assad. Proprio in Siria trovò riparo Adullah Öcalan agli inizi della sua carriera e negli anni ’90. Insomma, bisognerebbe conoscere tutti i passaggi storici e avere cognizione del contesto e delle fratture politico-sociali prima di spingersi in simili proclami e attestazioni di stima verso chi non ha avuto pietà a spezzare vite in nome di un progetto separatista che in termini molto concreti e fattuali nulla ha a che vedere con la tanto decantata ‘convivenza pacifica tra popoli’.
Ci diciamo rispettosi dei principi sanciti dalla nostra Costituzione, ma chi in Italia riuscirebbe a tollerare atti violenti e attentati terroristici con l’obiettivo di rivendicare come legittime alcune mire separatiste dai nostri territori? Davvero si è convinti che un sano processo di democratizzazione passi dalla lotta armata? Ed è questo a cui l’intera umanità dovrebbe aspirare?
E allora, forse sarebbe il caso di non renderci soggetti a sterili stereotipi per puro spirito di appartenenza ideologica. Reggio Calabria è il mio luogo natale, una città a cui tengo molto, dove affondano le mie radici, la cui proiezione mediterranea mi ha spinta su un determinato percorso di studi, viaggiando, facendo ricerca sul campo all’estero e nello specifico in Turchia, agevolando la mia comprensione di certi contesti e psicologie sociali. Sebbene ogni anno che passa la trovi sempre più malandata e abusata, abbandonata a se’ stessa e, mi permetto di affermare, a una gestione molto autoreferenziale e opportunistica -che poco ha a che fare con l’interesse del cittadino, se non di alcuni, e della collettività- Reggio rimane per me una culla di autenticità oltre che un approdo felice. Mi imbarazza moltissimo che i vertici istituzionali di quella che sento come la mia città si lascino andare a miopi dichiarazioni che poco hanno a che fare con una genuina interpretazione politica e geopolitica.
Ho vissuto negli ultimi dodici anni in Turchia, ospite di un popolo che, indipendentemente dall’appartenenza politica, difende con grande orgoglio i propri principi costituzionali, che fa dell’unità della nazione un vero credo collettivo e non mi sono mai sentita straniera o in imbarazzo. Oggi, invece, davanti a tali proposte della Giunta comunale, mi sento a disagio e stranita, per l’approssimazione con cui si portano avanti battaglie politiche su tematiche che richiedono competenze storiche e un certo grado di preparazione. Inoltre, non dovrebbe essere sottovalutata l’importanza dei solidi rapporti tra Italia e Turchia, considerati da ambo le parti ‘più’ di una semplice amicizia’. Non è mia intenzione portare avanti una polemica sterile, anzi rimango a disposizione per qualsiasi chiarimento e confronto sulla questione, certa che Reggio Calabria, storico crocevia di culture, meriti di massimizzare la propria vocazione mediterranea svolgendo un ruolo di primo piano nel rafforzare i legami diplomatici già esistenti.
Con viva cordialità
Lettera Firmata