Leggendo l’intervista a Mike Schroepfer, chief tecnology officer di Facebook, apparsa qualche giorno fa sul supplemento di Repubblica Affari e Finanza, si ha l’impressione che per i colossi della Silicon Valley il tempo si sia fermato. Questo ragazzo di 45 anni sta al suo posto dal 2013, quindi ha passato indenne le stagioni delle manipolazioni sulla Brexit e sulle elezioni americane del 2016, l’ondata di odio che si è scatenata soprattutto in questi anni, e quella di fake news quasi liberamente circolate in coincidenza con la pandemia da covid 19. Eppure, ancora magnifica le grandi potenzialità della tecnologia “se usata a fin di bene”, nega l’utilizzo a fini predittivi, per scopi commerciali e politici, dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi. Ancora adesso, quando negli USA 48 Stati e la Commissione federale per il commercio stanno tentando di mettere su un processo per posizione dominante; migliaia di dipendenti del colosso ne contestano l’operato dal punto di vista etico; molti soggetti indipendenti, in Europa e negli USA, hanno certificato il mancato intervento nella maggior parte dei casi in cui il social media avrebbe dovuto rimuovere contenuti d’odio e di disinformazione, account falsi, post prodotti in serie da bot, tutti segnalati senza esito. Per fortuna, sembra arrivato il momento in cui la consapevolezza che ciò che è illegale off line è illegale on line, e anche che ciò che è non illegale ma nocivo da una parte lo è anche dall’altra. Ciò sia negli USA, dove la battaglia è partita da tempo, sebbene con altre finalità (contrastare il rifiuto di diffondere in alcuni casi le enormità di Trump, bistrattato soprattutto da Twitter), sia in Gran Bretagna, sia nella UE. Il Digital services act e il Digital market act sono proposte di regolamento della Commissione, e non direttive, quindi entreranno in vigore e saranno vincolanti in tutti gli Stati una volta approvati dal Parlamento e dal Consiglio. E da quel momento il quadro complessivo cambierà radicalmente. La proposta è stata presentata dalla vice-presidente della Commissione Europea Margrethe Vestager e dal membro francese della Commissione deputato al Mercato Interno Thierry Breton.
Vestager, la Commissaria danese per l’Europa digitale, è stata definita Tax Lady da Donald Trump, per le multe comminate a Google e le indagini su Apple e Amazon. Breton ha sempre optato per un approccio aggressivo contro le company americane, per difendere gli interessi di quelle europee.
Le nuove norme puntano a proteggere in modo più efficace i consumatori e i loro diritti fondamentali online, nonché a promuovere l’innovazione, la crescita e la competitività e fornire agli utenti servizi online nuovi, migliori e affidabili. Le piattaforme più piccole, le piccole e medie imprese e le start-up avranno maggiori possibilità di affermarsi perchè sarà agevolato l’ accesso a clienti in tutto il mercato unico, riducendo i costi di conformità.
Il Digital Service Act persegue lo scopo di lottare contro i contenuti illegali o nocivi su internet, garantendo, nel contempo, la libertà d’espressione.
Gli utenti potranno segnalare contenuti che le piattaforme dovranno vagliare, e gli stessi utenti potranno contestare una rimozione. In questo modo, la Commissione spera di arginare i post incitanti all’odio sui social network, anche se la decisione sulla liceità o meno di un contenuto spetta sempre al sistema giudiziario degli Stati Membri. Le piattaforme saranno obbligate alla cooperazione con le autorità nazionali e a rimuovere i contenuti illegali, mentre per quelli non illegali, ma nocivi, sono previsti organi indipendenti che valuteranno i rischi e dovranno fornire i propri dati agli istituti di ricerca
Dovrà anche essere garantita la trasparenza degli algoritmi usati per le raccomandazioni: chi riceve un suggerimento d’acquisto (o di like), deve sapere perché è stato scelto il proprio profilo o se il post che gli appare è “sponsorizzato” da un committente che paga la piattaforma per ottenere maggiore visibilità. Ciò perché i dati raccolti sugli utenti, spesso tramite diversi servizi digitali, vengono utilizzati dalle stesse aziende per proporre loro annunci mirati.
Concretamente, la nuova normativa prevede una serie di nuovi obblighi, quali:
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norme per la rimozione di beni, servizi o contenuti illegali online;
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garanzie per gli utenti i cui contenuti sono stati erroneamente cancellati dalle piattaforme;
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nuovi obblighi per le piattaforme di grandi dimensioni di adottare misure basate sul rischio al fine di prevenire abusi dei loro sistemi;
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misure di trasparenza di ampia portata, anche per quanto riguarda la pubblicità online e gli algoritmi utilizzati per consigliare contenuti agli utenti;
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nuovi poteri per verificare il funzionamento delle piattaforme, anche agevolando l’accesso dei ricercatori a dati chiave delle piattaforme;
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nuove norme sulla tracciabilità degli utenti commerciali nei mercati online, per contribuire a rintracciare i venditori di beni o servizi illegali;
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un processo di cooperazione innovativo tra le autorità pubbliche per garantire un’applicazione efficace in tutto il mercato unico.
Per quanto concerne, in particolare, il Digital Markets Act l’obiettivo sono i cosiddetti sono i gatekeepers, aziende digitali: con un fatturato di almeno 6,5 miliardi all’anno nella UE o una capitalizzazione di 65 miliardi; la gestione di una piattaforma che permette la vendita di prodotti (come ad esempio Facebook o Google) con più di 45 milioni di utenti al mese; la presenza in almeno tre Stati dell’UE e una radicata posizione sul mercato, condizione che appare ovvia una volta soddisfatte le precedenti. Per far sì che tutte queste indicazioni non restino lettera morta, la Commissione assumerà il compito di rendere efficace la legislazione, una volta che sarà approvata, istituendo un nuovo board europeo per i servizi digitali..
La normativa varata dall’UE prevede multe salate: dal 6% (per violazioni al Dsa) al 10% (per violazioni al Dma) del fatturato. In caso di infrazioni sistematiche si potrà arrivare fino all’obbligo di cessioni di parte dell’azienda.
Non c’è alcun dubbio che la definitiva approvazione del regolamento richiederà ancora tanto lavoro e impegno, soprattutto in ragione della guerra che le Big Tech scateneranno nei prossimi mesi. Già si stanno armando aumentando in maniera esponenziale la spesa per le azioni di lobbying e rendendo difficilmente leggibili i finanziamenti, in modo da influire più efficacemente sui decisori della UE. Una strategia aggressiva nei confronti della quale i due fautori della normativa e l’intera Unione dovranno dimostrare di avere spalle larghe e grandi capacità relazionali e di mediazione. Ciò, tuttavia, fino a un certo punto: lo strapotere di questi stati fuori dagli stati mette a rischio la stessa democrazia. E, come si è già visto con i codici di condotta del 2018, giocare di fioretto serve a poco. E’necessaria la spada.
Nino Mallamaci