Minasi: “Chiusure senza ratio, Governo senza strategie, italiani senza lavoro”

Dalla contestazione per le accuse di ‘lavorare a favore delle tenebre’ al comparire di domenica all’ora di pranzo, cambia la modalità ma non il contenuto. Il presidente Conte e il suo governo, ormai, insistono a guidare il paese tramite decreti, senza considerazione per le Regioni, scavalcando il Parlamento e venendo ricordati solo per Dpcm ed interventi generalizzati privi di ‘ratio’ e di contestualizzazioni territoriali. Gli italiani hanno risposto bene ad un severo lockdown e molte realtà, tra cui la Calabria, che tra marzo e maggio avrebbero potuto continuare a vivere della loro, seppur non florida, economia, hanno subito il medesimo trattamento di aree ad altissimo tasso di diffusione del virus ottenendo in cambio i cosiddetti contagi di ritorno, gestendoli al meglio delle loro forze e capacità, canalizzando risorse per aiutare il contesto sociale e cercando, insieme ad un intero popolo, a sindaci, governatori e medici di districarsi tra l’interpretazione di regole, dichiarazioni contrastanti e promesse non mantenute. Crescevano le task force e gli italiani effettuavano la ricerca impossibile delle mascherine, che in una fase iniziale, cioè quando non c’erano, veniva detto fossero inutili, sino a diventare indispensabili, ma introvabili; i ragazzi sono stati davanti ai pc, o meglio lo sono stati i fortunati che ne possedevano uno o che non abitassero in luoghi interessati da un  importante divario digitale che nessuno ha pensato di sanare; gli ospedali divenivano luoghi di focolai e i morti aumentavano. Disorganizzazione ed impreparazione che, nonostante la situazione, abbiamo sopportato perché il nemico, a marzo, era nuovo, sconosciuto, difficile da contrastare. Abbiamo poi sperato di poter risalire la china con le prime riaperture e l’estate alle porte. Chi ha avuto grosse perdite ha atteso pazientemente la cassa integrazione, i bonus, e mal che andasse ha potuto acquistare un monopattino che, è notorio, risulta molto utile se dal paesino di montagna devi recarti ogni giorno in città. Si è continuato a tenere una vita sociale condizionata da comportamenti non abituali, si sono investiti soldi, spesso facendo debiti, per misurare, sanificare, acquistare presidii, ridurre capienze, con ulteriori perdite economiche, mentre una mole enorme di denaro veniva riversato su banchi di plastica e in altri mille rivoli la cui utilità ancora è ignota. Questo per dire alla popolazione: resistete, comprendiamo la sofferenza, ma arriveremo preparati ad un’eventuale seconda ondata e non ci sarà una nuova chiusura generalizzata. Infatti, tra le tante menti chiamate a raccolta da Conte&co., nessuno che abbia pensato ai mezzi di trasporto storicamente pienissimi, a fare controlli più serrati nei luoghi risaputi di assembramento o verso chi quelle regole non le rispettava, a potenziare la medicina di base, a fare i bandi per rispondere alle necessità (comunicate in tempo!) delle regioni, a fare attivare le nuove terapie intensive, ad assumere medici e operatori specializzati, a migliorare il sistema di tracciamento, ad evitare sbarchi incontrollati. E oggi ci stupiamo se la gente esasperata scende in piazza? Ovviamente ogni violenza va condannata, ma le parole di disperazione ascoltate non possono passare inosservate, soprattutto in quella parte di paese dove purtroppo esiste la piaga del lavoro nero che consente di vivere, seppur alla giornata, ma non di accedere ad ammortizzatori sociali. Praticamente le comunità hanno cercato di reagire al meglio, ma se il contagio dilaga la colpa è degli italiani indisciplinati, dei ristoratori, degli sportivi, del mondo culturale. Ma la colpa di milioni e milioni di disoccupati di chi sarà?

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