Stretta di non poco conto contro gli stalker condominiali. Scatta lo sfratto all’inquilino che molesta i vicini. E ciò perché il conduttore dell’alloggio deve osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi dell’immobile, mentre gli insulti e le condotte aggressive serbate confronti dei residenti nel condominio costituiscono abuso del bene locato ex articolo 1587 Cc. L’inadempimento, poi, ben può essere integrato da un solo episodio, quando risulta grave. A stabilirlo, la Corte di Cassazione con un nuova ordinanza che va a riscrivere le sanzioni di cui si deve preoccupare l’imputato per disturbo della quiete condominiale. Nell’ultima pronuncia di piazza Cavour, infatti, con l’ordinanza 22860/20, pubblicata il 20 ottobre dalla terza sezione civile della Cassazione, viene sancito come, la normativa anti stalking vada applicata in caso di vicini rumorosi. Diventa definitiva la sentenza che condanna la stalker condominiale a rilasciare l’alloggio di edilizia residenziale pubblica che occupava. Il contratto è sciolto per inadempimento dell’inquilina: si configura infatti l’inosservanza dell’articolo 1587 Cc sugli obblighi principali del conduttore oltre che di una norma che contratto che lega l’inquilino all’ente pubblico e vieta al primo di «compiere atti e tenere comportamenti che possano recare molestia agli altri abitanti dello stabile», mentre risulta invalida la clausola risolutiva espressa che prevede in modo generico la risoluzione di diritto per ogni violazione del contratto. Nessun dubbio sulla sussistenza delle condotte addebitate alla donna, che prende di mira una coppia di residenti nello stabile al punto da imbrattarne la porta di casa con la vernice bianca. E gli insulti contro i vicini fanno bella mostra di sé in un cartello che la stalker affigge stavolta sul proprio uscio; la vicenda, peraltro, ha inevitabili strascichi penali. Inutile tentare di strumentalizzare un passaggio della decisione impugnata laddove la Corte d’appello rileva l’inadempimento contrattuale per abuso della cosa locata osservando che se il locatore tollerasse le molestie potrebbe essere chiamato a rispondere verso gli altri residenti come di fatto proprio. Né giova lamentare un’omessa pronuncia del primo giudice sull’acquisizione della sentenza penale. Alla quale la Corte territoriale non attribuisce alcun valore di giudicato: se ne avvale soltanto in base al principio del libero convincimento, tenendo conto anche che sono sufficienti le testimonianze raccolte in sede civile. La Cassazione, osserva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, con questa ordinanza ha stabilito che, come il marito che perseguita la moglie possa essere allontanato dall’abitazione secondo la normativa antistalking, la medesima disposizione si deve applicare per via analogica anche alla condizione di rumore creata da un inquilino indifferente alle proteste dei vicini. Moltissimi residenti in condomini e unità abitative confinanti con altre,infatti, si trovano spesso ad avere a che fare con vicini di casa e di pianerottolo troppo rumorosi. Alle volte, il rumore diventa così forte e insopportabile da suscitare gravi liti tra dirimpettai, al punto che, spesso e volentieri, si finisce in tribunale. La causa di mancato riposto e di disturbo della quiete dei vicini, infatti, può essere sufficiente a portare la vicenda di fronte al giudice, per capire se gli inquilini più confusionari si siano macchiati di qualche reato ed, eventualmente, cercare di capire i giusti provvedimenti da prendere.
c.s. – Giovanni D’Agata