Una innovativa lettura socio-economica delle variazioni del rumore sismico di origine antropica in Italia durante le settimane di lockdown ha consentito di interpretare in modo più approfondito l’efficacia delle misure restrittive
In alcune zone d’Italia, fortemente caratterizzate da una industrializzazione riconducibile ai settori considerati strategici per il Paese, il Governo italiano ha ravvisato la necessità, nell’ambito delle misure restrittive imposte a partire dall’11 marzo 2020, di non interrompere alcune di quelle attività. Conseguentemente, i ricercatori hanno rilevato che il rumore sismico di origine antropica, pur attenuato, non ha subito l’importante riduzione rilevata, invece, su tutto il territorio nazionale. È questo il risultato dello studio “COVID-19 lockdown and its latency in Northern Italy: seismic evidence and socio-economic interpretation”, appena pubblicato sulla rivista ‘Scientific Reports’ di Nature. La ricerca, condotta da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara (DEM-UNIFE), ha coinvolto un gruppo di lavoro multidisciplinare e smaterializzato ed è stata portata a termine analizzando un arco di tempo di sei settimane: due antecedenti al periodo di lockdown – utili a definire uno standard di riferimento con cui confrontare i dati – e quattro interessate dalle misure di limitazione degli spostamenti e di chiusura delle attività produttive e commerciali imposte dal Governo. “Analizzando, per il periodo indicato, i segnali provenienti dalle stazioni della Rete Sismica Nazionale dell’INGV dislocate nel settore centro-settentrionale del Paese”, spiega Davide Piccinini, ricercatore dell’INGV e primo autore dello studio, “abbiamo potuto osservare, in alcune aree, una repentina diminuzione del rumore sismico di origine antropica che, tuttavia, non mostrava una distribuzione omogenea sul territorio, evidenziando differenze macroscopiche tra le diverse stazioni esaminate”. Incrociando i dati sull’andamento del rumore sismico forniti dalle stazioni sismiche con quelli estratti dalle banche dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) relativamente alla densità abitativa e industriale in Italia, gli autori hanno potuto correlare la mancata diminuzione del rumore in alcune zone con la presenza, in quelle stesse aree, di importanti attività produttive classificate dal Governo come realtà industriali essenziali per il Paese, che, quindi, non hanno interrotto la loro attività nemmeno durante le settimane di lockdown. “Grazie all’elaborazione di mappe 2D della distribuzione del rumore sismico”, aggiunge Marco Olivieri, ricercatore dell’INGV e co-autore dell’articolo, “abbiamo evidenziato delle ‘regolarità’ spaziali nelle discrepanze di tale distribuzione: in alcune aree della Pianura Padana, ad esempio, vi erano gruppi di stazioni sismiche che mostravano la stessa ‘anomalia’, a indicare un fenomeno significativo. Ci siamo quindi avvalsi del contributo dei colleghi economisti per poter interpretare in maniera più esaustiva, approfondita e quantitativa questo dato”. L’aspetto innovativo e interessante della ricerca ha riguardato, infatti, la possibilità di sopperire alla mancanza di dati dinamici sulla mobilità effettiva dei cittadini con il dettaglio necessario, con il risultato del confronto tra l’evoluzione dei livelli di rumore sismico nel tempo e il rapporto tra questa e la densità industriale e abitativa sul territorio. Tale confronto ha evidenziato una correlazione tra la presenza di distretti produttivi la cui attività è stata indicata come economicamente non differibile e, in quelle stesse zone, la mancata drastica riduzione del rumore sismico prodotto dalle attività umane. “Non è stato semplice combinare tra loro basi informative e ambiti scientifici così diversi”, affermano Giorgio Prodi e Federico Frattini, docenti del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara e coautori dell’articolo. “È piuttosto insolito trovare in letteratura studi realizzati dalla collaborazione di sismologi ed economisti. Questo studio è il risultato di una collaborazione intensa, che intendeva e ha saputo identificare alcune tendenze dell’effettivo concretizzarsi del lockdown nelle regioni del Nord Italia”. Questo lavoro è stato concepito, realizzato e concluso durante la fase di lockdown che ha forzato tutta la Pubblica Amministrazione a lavorare in smartworking, e proprio da questa situazione ha tratto beneficio massimo, permettendo a sette persone localizzate in sei città diverse di lavorare e comunicare agilmente anche grazie alle infrastrutture informatiche e di accesso ai dati messe a disposizione da INGV e Università di Ferrara.