«La libertà significa responsabilità: ecco perché molti la temono»
Sembrava di risentire le parole di George Bernard Shaw nella riflessione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel ricordare come la libertà sia poco o nulla senza serietà. Dichiarazioni dall’eco fortemente mediatica, forse poco indagate nella loro eccezionale valenza culturale ed educativa. Non v’è dubbio: ai giorni nostri il flusso di opinioni, pareri, provocazioni e fantasie che affollano le piazze virtuali e della comunicazione lascia ai margini il pensare forte, severo e rigoroso, prediligendo la chiacchiera veloce alla parola meditata. Ma questo altro non è che il travisamento di quella regola che Pascal indicava invece come aurea: «l’impegno a pensare bene è il principio della morale». Certo: l’esercizio della libertà è tutt’altro che semplice. Per dirla col drammaturgo tedesco Georg Büchner «la statua della libertà è sempre in fusione ed è facile scottarsi le dita». Essere liberi, in effetti, non è una pura reazione istintiva, né soltanto un semplice sottrarsi a un’oppressione o a un’imposizione. Tuttavia, bandire l’etica dalla vita pubblica, come fosse orpello di tempi passati ed ingombrante zavorra per quelli a venire, ha fatto della libertà uno slogan vuoto, un principio sempre più spesso tanto osannato quanto svuotato di valori e senso, fino ad essere piegato in arbitrio e anarchia, alibi per farsi i propri i comodi senza ritegno o vincolo alcuno. Ma la libertà, ricorda Simone Weil, è inimmaginabile senza un minimo di condizioni di fatto che la rendano possibile. È molto di più. È una scelta coerente e cosciente tra opzioni differenti per una meta da raggiungere. È dunque indispensabile distinguere tra una libertà come condizione ed una libertà come capacità, con quest’ultima che racchiude e simboleggia la forza di volere sottrarsi all’inerzia dei fatti e degli eventi, per orientarsi verso un fine e generici nuovi inizi. Ad essa corrisponde una precisa responsabilità, che non è mero obbligo di fare o non fare, ma impronta chiara ed evidente della pietas, ossia dell’intima e profonda coscienza della propria e dell’altrui fragilità. Insomma, come sottolineava anche san Paolo, vivere nella libertà autentica è atto impegnativo, perché comporta un’esistenza rigorosamente cosciente, di fronte al rischio costante di ricadere nella schiavitù della falsa libertà. Dice (non a caso) papa Francesco: «Sappiamo bene che poter fare ciò che si desidera non basta per essere veramente liberi, e nemmeno felici. La vera libertà è molto di più». È amore. È capacità di amare. È – per l’appunto – responsabilità. Se non c’è questo, restano solo accidia ed egocentrismo. E tanti fossi, ampi e profondi, scavati tra sé e gli altri.
+ Vincenzo Bertolone