Esonero dei contributi per chi non utilizza la CIG

E’ penalizzante per i datori virtuosi la nuova misura ideata dal governo per non proseguire con la cassa integrazione guadagni (CIG). Il decreto di agosto (DL n.104/20) prevede un nuovo esonero dal versamento dei contributi previdenziali per le aziende che non richiedono trattamenti di CIG. Il provvedimento stabilisce che, in via eccezionale per l’emergenza da COVID-19, ai datori di lavoro privati (escluso settore agricolo) che non richiedono i trattamenti di CIG e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, dei medesimi trattamenti, venga riconosciuto l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico. Il periodo massimo è di 4 mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite a maggio e giugno 2020 (esclusi premi e contributi dovuti all’INAIL), riparametrato e applicato su base mensile. L’esonero può essere riconosciuto anche ai datori di lavoro che hanno richiesto periodi di integrazione salariale collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020. L’esonero è cumulabile con altri esoneri, o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, nei limiti della contribuzione previdenziale dovuta. Il beneficio è concesso ai sensi della sezione 3.1 della Comunicazione della Commissione europea recante un «Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19» e nei limiti ed alle condizioni di cui alla medesima Comunicazione. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, nel corso dell’audizione del 31 agosto presso la V Commissione Programmazione Economica e Bilancio del Senato, ha presentato alcuni spunti di riflessione e modifica al D.L. n. 104/20.  Secondo i Consulenti del lavoro, non risulta di immediata comprensione perché il legislatore abbia stabilito che l’esonero sia concesso nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno 2020. Tale scelta, infatti, risulta penalizzante per i datori virtuosi che hanno preferito, in tali mesi, concedere primariamente ferie e permessi ai propri dipendenti, in luogo dei trattamenti di integrazione salariale. Risulta, peraltro, sfavorevole anche per le aziende che, per motivazioni legate alla loro specifica attività, in tale periodo hanno regolarmente lavorato, scontando tuttavia una fisiologica flessione nel successivo periodo estivo.

Ufficio stampa CdL

Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

banner

Recommended For You

About the Author: PrM 1