L’omelia del Vescovo Mons. Francesco Savino per la XXI Domenica del Tempo Ordinario

Le domande sul fondamento della vita, sul fine ultimo della nostra esistenza sono indispensabili in quanto ci aprono percorsi di ricerca senza bloccarci come invece capita quando accettiamo supinamente risposte preconfezionate. I discepoli di Gesù, dopo averlo seguito, ascoltato e accolto i suoi insegnamenti fino a metterli in pratica, intuiscono che la sua identità non è di facile comprensione. Ed è Gesù stesso che li interroga per sapere che cosa la gente pensa di Lui e che cosa pensano loro. Essi rispondono che la gente pensa che Gesù sia un profeta, uno dei grandi profeti di Israele: forse Elia che era atteso, forse il Battista, ucciso da Erode ma tornato in vita (cfr. Mt 14,1-12), o forse Geremia, visto che pronunciava parole contro il tempio di Gerusalemme, come aveva fatto Geremia (cfr. Ger7). Allora Gesù dice: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Con quel “ma”, come sostiene anche Papa Francesco, stacca decisamente gli apostoli dalla massa, come a dire: “Ma voi, che siete con me ogni giorno e mi conoscete da vicino, che cosa avete capito o intuito di più?”. La domanda non mirava ad ottenere come risposta una formula dottrinale e dogmatica ma chiedeva ai discepoli di manifestare il loro rapporto con Lui, il loro coinvolgimento esistenziale, la fiducia che loro riponevano nel Maestro. Gesù aspetta dai suoi una risposta diversa da quelle della gente. Anche la nostra adesione a Gesù dipende dalla conoscenza che abbiamo di Lui e dalla relazione con Lui. Chi è Gesù per me? È la domanda del cristiano che cerca di non fare di Gesù l’oggetto dei suoi desideri o delle sue proiezioni, ma cerca di conoscerlo leggendo e meditando il Vangelo e ascoltando lo Spirito Santo. Alla domanda di Gesù, Pietro risponde: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente” con parole più grandi di lui, che non vengono dalle sue capacità naturali ma sono ispirate dal Padre Celeste. Infatti Gesù gli dice: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. Simone, il pescatore di Galilea, il figlio di Giona, è chiamato da Gesù “beato”, per la rivelazione gratuita che il Padre gli ha fatto. Simon Pietro fa questa confessione di fede per “grazia”, per rivelazione di Dio, non certo come risultato di un ragionamento. E Gesù gli dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Della Chiesa che Gesù edifica, Pietro è la prima pietra. “… Perciò Gesù – dice E. Bianchi – gli cambia il nome da Simone in Kefâs, Pietro (cfr. Gv 1, 42). Così egli parteciperà per grazia alla saldezza della Roccia che è Dio (cfr. Sal 17,3.32; 18,15; 27,1), saldezza nel confessare la fede, anche se soggettivamente potrà venire meno nella sua sequela, cadere in peccato, manifestandosi con le sue debolezze e i suoi comportamenti contraddittori. La beatitudine di Gesù non costituisce Pietro nella santità morale ma nella saldezza della fede confessata. E non saranno forse proprio la fragilità e la debolezza nella sua sequela di Gesù che permetteranno a Pietro, autorità suprema tra i Dodici, di essere esperto della misericordia del Signore? Pietro sa di aver conosciuto su di sé la misericordia del Signore, di aver conosciuto veramente il Signore, e perciò può annunciarlo e testimoniarlo in modo credibile. Pietro ha avuto per grazia il dono del discernimento, ha visto bene chi era Gesù, e per questo può essere la prima pietra, quella che segna la saldezza di tutta la costruzione, un uomo capace di rafforzare e confermare i fratelli, anche perché a sua volta sostenuto e confermato dalla preghiera di Gesù (cfr. Lc 22,32)”. La Chiesa, Ekklesía, che significa assemblea dei “chiamati-da”, parola che ritornerà soltanto un’altra volta, nei Vangeli, sempre in Matteo (18, 17), ha Gesù come costruttore, gli apparterrà per sempre e non sarà mai né di Pietro né di altri, ma di proprietà del Signore. In questa costruzione di Cristo, Pietro sulla terra sarà l’intendente, colui che apre e chiude con le chiavi affidategli da Cristo stesso: si tratta di immagini semitiche, di cui troviamo traccia nell’Antico Testamento (per esempio Is 22,22), che significano che Pietro sarà abilitato ad interpretare la Legge e i Profeti, quale testimone e servo di Gesù Cristo. Senza dubbio Pietro riceve un primato, quello dell’uomo dell’inizio, il primo chiamato, il “primo” nella comunità. In seguito, la Chiesa farà il suo percorso tra contraddizioni, inimicizie e persecuzioni, ma, come anche oggi, pur nella fragilità dei suoi membri, compirà il suo cammino verso il Regno. Preghiamo perchè la Grazia sostenga la nostra adesione a Cristo e perché lo Spirito Santo renda salda la nostra partecipazione alla Chiesa.
Buona Domenica.

                                                                                       + Francesco Savino

fonte   –   –  http://www.calabriaecclesia.org/Pages/NewsDetail/11038/L’omelia_del_Vescovo_Mons_Francesco_Savino_per_la_XXI_DOMENICA_DEL_TEMPO_ORDINARIO

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