Nuovi stili di vita
di Antonella Postorino – La produzione di modelli di città è ricorrente nella storia delle civiltà, manifestandosi principalmente nei momenti di declino e di transizione, ovvero quando appaiono profondi cambiamenti nella struttura socio/economica di un territorio. Ma la “città ideale”, ampiamente approfondita e studiata, in campo filosofico, letterario e urbanistico, non può esistere. I “modelli perfetti”, come quelli immaginati da Platone, Sant’Agostino e Tommaso Campanella, risolutori di tutti i problemi, restano frutto di ideali e disillusioni. La verità è che ogni modello nasce ex hypothesi, cosa che poteva anche andar bene fino al XIX secolo, mentre oggi che la nostra vita si trasformerà ulteriormente nei prossimi mesi, la partita dovrà giocarsi attorno al tavolo delle priorità e, sicuramente, la tutela della salute pubblica, è il leitmotiv che metterà in discussione tutte quelle certezze che ci hanno resi “consapevolmente” impreparati. Le nostre città devono offrire gli spazi di cui abbiamo bisogno, senza false strategie che rischiano di mettere in crisi il nostro “buon senso”. Sono altre le esigenze, cambieranno le modalità di erogazione dei servizi e di conseguenza la loro organizzazione strutturale e infrastrutturale.
Questo cambiamento è già passato attraverso la percezione che ognuno di noi ha degli spazi, quindi il primo passo consisterà nel tracciare nuovi stili di vita, rammentando che la crisi è uguale per tutti, pertanto sarà necessario garantire pari opportunità nel rispetto delle differenze (di ogni) genere. Su spazio prossemico e distanza sociale (unità di misura alla quale faremo riferimento) si fonderanno i principi dai quali ridisegnare le città, i loro strumenti di governo, i piani, i progetti e le conseguenti attuazioni. Si dovrà puntare a best practice progettuali, adottando protocolli di comportamento sociale, affinché queste non assumano le sembianze di imposizioni, ma piuttosto rendano la nostra vita “piacevolmente sicura”. Converrà pensare a provvedimenti funzionali sia ai bisogni dei cittadini, sia alla ripresa di tutti i settori dell’economia, che deve rimettersi in moto già in questa seconda fase della pandemia.
Le nuove sfide dovranno necessariamente vedere principali attori i tecnici, in particolare gli architetti (in tutte le accezioni di pianificatori, paesaggisti e conservatori), gli urbanisti, gli strutturisti, i designer e persino gli artisti, supportati da geologi, agronomi, geometri, antropologi, sociologi ed economisti per attivare task force multidisciplinari e rigenerare il rapporto tra Università e territori. Con urgenza bisognerà riprendere in mano tutta quella progettualità rimasta ferma sui tavoli decisionali, quella già finanziata e mai avviata, e se in corso d’opera necessitante di varianti, sulla quale pretendere proroghe affinché si possano rivedere parametri funzionali e nuovi standard dimensionali, prima di avviare cantieri che potrebbero dar vita ad opere “incompiute” o “inadeguate”. Bisognerà riprogettare gli spazi urbani a tutte le scale; stendere nuovi regolamenti comunali per i luoghi di aggregazione sociale e per i servizi pubblici; adeguare l’esistente alle nuove esigenze; rivedere i parametri relativi alla fruibilità dei luoghi, a modalità, orari, tempi e forme di erogazione dei servizi.
Best practice per una “Città Misurata”
Partendo dal concetto di “misura”, la città Post-Covid 19 va ripensata “metro su (per) metro”, concepita a misura d’uomo, tenendo conto che questa unità di grandezza, influenzata dalla nuova percezione spaziale, si espande oltre il suo valore metrico decimale. Non saremo fuori moda ripartendo al fondamento Vitruviano dell’architettura, nel quale i principi dovranno configurarsi in chiave contemporanea in termini di Firmitas, ossia resistenza come sicurezza, garanzia che nulla potrà farci del male; Utilitas, come organizzazione dei luoghi in funzione del distanziamento sociale; Venustas, bellezza come sinonimo di decoro e di benessere, di integrazione e inclusione. Quindi una “Città Misurata” nella sua robustezza, nella sua funzione e nella sua armonia; resiliente e capace di mantenere gli equilibri tra innovazione e salvaguardia storico/ambientale. Partendo da questi principi la “società liquida” in cui viviamo deve necessariamente “condensarsi” per tornare ad avere riferimenti forti, perché la “dilatazione” potrebbe far perdere centralità ai capisaldi della tradizione, quindi urge rafforzarne altri, affidando a questi il ruolo trainante. Il progetto della “Città Misurata” deve fare sintesi attorno ai seguenti punti: rinnovamento normativo e burocratico; nuove modalità di erogazione dei servizi; nuovi ambienti urbani per un uso ammissibile; innovazione e ottimizzazione delle infrastrutture; utilizzazione di strumenti di project financing. Tracciare una efficace riforma dell’attuale quadro normativo che regola il governo del territorio, oltre a un aggiornamento dell’apparato burocratico, potrà garantire immediatezza e semplificazione di tutti gli iter amministrativi, comprese le concessioni di “agevolazioni” ed “aiuti”, spesso non attuati a causa delle tortuose procedure. Sarà opportuno rimettere in discussione le normative esistenti, rispolverandone alcune “archiviate”, setacciando quelle che oggi potrebbero servire da fondamento se analizzate alla luce del futuro post-Covid.
In questo scenario bisognerà rimettere in discussione strumenti di governo a piccola scala, come le circoscrizioni di decentramento comunale, ripensate per rendere efficace una rinnovata politica del territorio. Alcune realtà lavorative spariranno o verranno affiancate da forme di smart working, altre saranno completamente sostituite da queste, soprattutto quelle la cui erogazione ne prevedeva, in parte, la modalità, e altre ancora più innovative ne nasceranno. Nel dibattito non bisogna dimenticare le fasce deboli, quelle alle quali dovrà essere garantito sostegno, assistenza e accompagnamento, soprattutto alla luce del fatto che l’informatizzazione potrebbe creare ulteriori barriere ai fruitori dei servizi, soprattutto agli anziani e ai diversamente abili. Sarà opportuno, pertanto, stabilire in quali settori e servizi mettere a regime le nuove tecnologie informatiche, e in quali, invece, deve prevalere il rapporto umano, per esempio nei comparti scuola, sanità e servizi sociali. Inoltre, il delicato settore della pubblica istruzione, quello che per primo ha subito le conseguenze del lockdown, necessita di una nuova normativa che preveda la destinazione di spazi a norma, anche dal punto di vista microclimatico, e il ridimensionamento del numero di alunni per classe. Una soluzione potrebbe essere rendere nuovamente agibili gli edifici scolastici rimasti inutilizzati a seguito degli accorpamenti, così da riorganizzare la somministrazione di lezioni “in presenza”, attivando parzialmente la “classe virtuale” e forme di didattica all’aperto.
Una politica di decentramento dei servizi e delle funzioni su scala locale potrebbe fornire la soluzione per ridurre gli spostamenti dalle aree periferiche verso il centro, in modo da evitare assembramenti e migliorare la gestione dei tempi di erogazione dei servizi. Di conseguenza, nuove forme di decentramento del lavoro su scala nazionale, potrebbero innescare processi virtuosi, per esempio equa distribuzione del lavoro su scala territoriale, con conseguente abbattimento dei flussi migratori da sud a nord; rigenerazione dell’economia locale, quindi nascita di nuova domanda e nuovi indotti economici; riqualificazione dei territori in via di spopolamento. Potrebbero finalmente portarsi a compimento quelle promesse politiche “meridionaliste” mai attuate dalla metà del XX secolo ad oggi. Il modello di città “Misurata” dovrà accorciare le distanze, ricercando una maggiore integrazione di funzioni e di dotazioni tra città centrale e hinterland. Aree di frangia urbane e territoriali dovranno essere interessate da progetti di rigenerazione socio/culturale e ambientale. Si fa strada la necessità di reinterpretare i luoghi, riscoprirne le funzioni e sfruttarne le potenzialità, pertanto sarà opportuno procedere con una serie di operazioni preliminari finalizzate alla mappatura del patrimonio pubblico esistente, edilizio e terriero, per fornire valide alternative di utilizzo immediato, per esempio spazi da destinare all’emergenza sanitaria, attraverso il recupero di aree dismesse; terreni abbandonati da convertire per produzioni agricole a “chilometro zero”; palazzi inutilizzati, ex fabbriche, vecchie stazioni da destinare a nuove funzioni e nuovi servizi.
Gli spazi urbani avranno un ruolo importante, si tornerà al concetto di viali alberati e orti urbani, si attualizzerà la funzione dei parchi, come polmoni verdi, nei quali, protetti dal traffico, sarà possibile distanziarci. Le aree gioco dovranno essere ripensate per educare le nuove generazioni al rinnovato senso di spazio e di relazioni sociali.
Anche l’edilizia privata, residenziale e popolare, dovrà adeguarsi ai nuovi stili di vita. Tornerà il concetto di cortile, di casa ballatoio, nelle cui tipologie si ritroverà un esempio di condivisione di spazi, un bene per la salute e la sostenibilità delle comunità condominiali. La città che godono del rapporto diretto con il mare, avranno bisogno di nuovi piani “spiaggia”, mentre quelle in collina, avranno il vantaggio di beneficiare di progettualità d’area vasta, così da riorganizzare ambienti poco valorizzati, basti pensare ai borghi storici messi in rete per offrire servizi turistici integrati (e non solo), o all’attuazione di distretti urbani del commercio, attraverso una collaborazione tra associazioni di categoria. Una riflessione a parte va fatta sulle città metropolitane che dovranno attivare strategie più complesse nelle quali il decentramento dovrà necessariamente essere supportato da un ammodernamento delle infrastrutture obsolete e la realizzazione di altre in grado di abbattere tempi e distanze. Sarà opportuno puntare a nuove forme di mobilita extraurbana, sfruttando linee ferrate dismesse e ove possibile intervenendo sulle infrastrutture portuali inutilizzate.
Nelle città metropolitane l’emergenza dovrà trasformarsi in “vantaggio economico”, perché l’inversione di tendenza ad uno sconfinamento extra moenia, deve puntare allo sviluppo e alla riqualificazione dei territori meno urbanizzati soggetti a spopolamento e dissesto ambientale, attraverso la progettazione integrata di nuove forme di turismo sostenibile. Il settore “pubblico” dovrà riappropriarsi del ruolo di promotore, non limitandosi ad accogliere e istruire istanze rappresentative degli interessi di soggetti economici privati, ma provvedendo a offrire indirizzi strategici governandone i processi. Dovranno attivarsi strumenti di project financing puntando a forme di negoziazione fra interessi pubblici e privati. Bisognerà individuate tutte le forme e fonti di finanziamento destinate alle città e puntare ad un programma coordinato e integrato, escludendo interventi “puntuali”, disconnessi, che non generano ricadute economiche sul territorio, diventando solo costi per la collettività. La priorità sarà un Piano di emergenza e poi la parcellizzazione delle fonti di investimento.
Sarà utile mettere a regime tavoli tecnici di coordinamento in sinergia con gli uffici tecnici locali, con la competenza di gestire i processi complessi che accompagneranno tutte le fasi di attuazione della pianificazione territoriale. Il ruolo delle Regioni, delle Province, delle Città Metropolitane e delle amministrazioni comunali sarà determinante e dovrà convergere verso un unico obiettivo coordinato e programmato. Le scelte politiche e urbanistiche promosse dalle amministrazioni sono fondamentali per garantire libertà e valori democratici e al contempo indispensabili a formare una società più resiliente e preparata per le minacce future. Solo attraverso il “buon governo” del territorio, potremo auspicare alla rinascita di una comunità in grado di occuparsi efficacemente, della salute dei propri cittadini, ma anche di affrontare una nuova epoca all’insegna della sostenibilità economica e sociale.
Le immagini contenute nell’articolo sono due opere dell’illustratore Marco Barone:
Figura 1: “Riaversi” (acrilico su pannello 60×70); Figura 2: “La Città Misurata” (illustrazione)
Questo articolo è preceduto da:
Una “Città Misurata” post Covid-19” (parte 1), pubblicato il 24 maggio 2020 su questa testata