Tante nuove Iri per uscire dalla crisi: investimenti pubblici per fare ripartire la macchina Italia e salvarci

L’impatto del Covid-19 sull’economia mondiale sarà talmente significativo da fare parlare di un’economia prima e dopo la pandemia. In Italia la crisi si preannuncia ancora più forte in quanto tutte le debolezze del sistema paese e l’inefficienza dell’apparato pubblico, in primis la sanità, sono divenute ancora più evidenti. Debolezza che si associa anche ad un elevatissimo livello del debito pubblico della nazione. E che già si innestava su un lungo periodo di bassa crescita del PIL italiano con il Sud in particolare in grave ritardo di sviluppo. È chiaro a tutti che si tratta di una crisi eccezionale dalla quale è molto difficile uscire se l’Italia non individua correttamente una strategia anche in campo economico. Non dobbiamo trascurare infatti che una forte crisi dei redditi, di proporzioni inimmaginabili, può produrre estrema povertà e di conseguenza aggravare ulteriormente i già enormi problemi sanitari. Le soluzioni, con problemi di questa portata, non possono essere semplici, ma si tratta di individuare un corretto mix di misure che sappiano anche convincere le altre nazioni europee della bontà dei nostri sforzi.

Negli ultimi anni sono stati fatti errori di comunicazione (e anche scelte pubbliche) che fanno apparire l’Italia, nel contesto europeo, come un luogo del “non lavoro”, dove i cittadini attendono solo sussidi. Ciò suscita ostilità nella mentalità degli altri europei, e alimenta il luogo comune che l’Italia voglia approfittare della crisi per risolvere i suoi problemi atavici e di eccesso del debito pubblico senza sforzi. Al contrario, occorre ribadire con forza che l’Italia è fatta da milioni di ingegnosi e talentuosi lavoratori che vogliono mettersi all’opera per ricostruire la nazione. Non sono praticabili, pertanto, soluzioni di comodo come quella di chiedere all’Europa di stampare euro senza fine; ciò, lo sappiamo, incontra anche giustamente delle riserve nella mentalità degli altri cittadini europei, preoccupati dell’indebitamento pubblico implicito nella produzione artefatta di moneta e nella conseguente inflazione. Né la soluzione può essere quella dell’uscita dall’euro che, sia ben chiaro, comporterebbe il default della nazione. E’ anche molto difficile che si possa giungere ad un accordo sui cosiddetti Coronabond cioè l’emissione di obbligazioni (debito pubblico) garantite da tutti i paesi europei. Rispetto a questa soluzione infatti si creano molte perplessità giuridiche (chi sarebbe il debitore?) e concrete remore in quanto le altre nazioni immaginano che si ponga in essere un meccanismo di aumento della spesa pubblica cui non fa seguito alcuna efficienza dei servizi pubblici a causa della diffusa corruzione. Non vi è dubbio però che, dialogando con l’Europa, si debbano attuare subito delle scelte coraggiose e innovative sia di breve che di medio lungo termine, tempestive e ardite come il momento particolare impone. Nel breve termine, vanno garantiti gli stipendi di chi ha perso lavoro e i sussidi minimi per chi non ha reddito. L’Italia ha le risorse finanziarie per questi interventi tampone e sono certo che anche l’Europa farà la sua parte con aiuti di prima necessità.

Nell’ambito di questi interventi, di breve periodo e di risorse contenute, si possono ipotizzare emissioni di moneta o interventi come quelli della cosiddetta helicopter money, cioè vere e proprie immissioni di denaro direttamente ai cittadini e alle imprese. Ma qui abbiamo bisogno di una strategia di lungo termine e credibile e l’Italia stessa può concepire gli interventi che chiede all’Europa in poco tempo, ben prima che si possano venire alla luce gli eurobond o i coronabond. Se si tratta, com’è stato autorevolmente sostenuto, di rimediare agli effetti di una vera e propria guerra provocata dagli effetti del virus, non dobbiamo dimenticare quella che e stata in Italia l’esperienza dell’Iri proprio cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Naturalmente rivista in chiave moderna. Le scene degli ospedali nel Sud d’Italia ma anche del Nord, ci hanno fatto capire che oggi non è tollerabile che vi siano aree della nazione nelle quali non si rispettano standard di servizi pubblici minimi. Le università, gli esperti, i professionisti, lo Stato devono operare una ricognizione dei tanti campi dell’agire pubblico nei quali occorre garantire livelli minimi di servizio conformi a quelli degli altri cittadini europei.

Penso agli ospedali , ma anche alle università spesso prive di ricercatori, ai centri di ricerca, agli asili nido, agli acquedotti e alle reti idriche, ai trasporti, alle infrastrutture. In moltissime aree della nazione non si garantiscono livelli minimi dei servizi pubblici. Ecco allora che dobbiamo definire questi livelli minimi e verso questi indirizzare la domanda pubblica attraverso investimenti rilevanti. Questi investimenti possono essere attuati da tante piccole Iri; già domani mattina, volendo, potrebbero essere create delle società veicolo da parte dello Stato che emettono prestiti obbligazionari, cioè i bond che chiediamo all’Europa, e che perseguono degli scopi specifici. Queste società potranno rivolgersi al mercato finanziario obbligazionario e lo Stato potrebbe garantirne il rimborso. Dobbiamo dare sfogo all’innovazione finanziaria. Ad esempio prevedendo in taluni casi che sia prevista la possibilità di convertire il debito di queste società in azioni, se esse svolgono un’attività profittevole.

Penso ad esempio alla costruzione di parcheggi per auto nelle grandi città, che certamente potrebbero creare grandi utili. Sono sicuro che se gli investitori percepissero che l’Italia mette nuovamente al centro della sua attenzione il lavoro e il suo ingegno troverà rapidamente finanziatori disposti a sottoscrivere queste obbligazioni e tutto si rimetterà lentamente in marcia. Se invece ci presentiamo con il cappello in mano per chiedere un aiuto europeo senza neppure avere definito cosa vogliamo fare, rischiamo un diniego e di sfasciare il grande e indispensabile progetto europeo.

Antonio Del Pozzo

Professore ordinario di Economia presso l’Università di Messina

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