Coronavirus. Stephen (OMS): L’Europa non lo esporti in Africa

Responsabile in Congo a Dire: Chiave è controllo punti di accesso

(DIRE) Roma, 11 Mar. – “Il Covid-19 e’ un nuovo virus e da quando ha fatto la sua comparsa l’Organizzazione mondiale della sanita’ si e’ subito attivata affinche’ i Paesi africani fossero pronti ad affrontarlo. Ma e’ importante sottolineare che per ora, tutti i casi confermati in Africa (101, in dieci Paesi, di cui 59 in Egitto e 20 in Algeria) sono stati ‘importati’ da viaggiatori europei, per la maggior parte individuati negli aeroporti delle capitali. Molti sistemi sanitari africani sono fragili, quindi agli europei dico: controllate i viaggiatori prima che partano, non esportate il virus. È il tipo di solidarieta’ che adesso l’Africa si aspetta dall’Europa”. Cosi’ all’agenzia Dire Mary Stephen, la dottoressa a capo del Programma di emergenza sanitaria dell’Ufficio Africa dell’Oms, con sede a Brazzaville.
La priorita’ di questa struttura, sottolinea la responsabile, non appena dalla Cina e’ emersa l’emergenza coronavirus, e’ stata “dotare i Paesi africani dei laboratori attrezzati per effettuare il test per il Covid-19”. A gennaio, ricorda Stephen, “non ce n’era neanche uno. Siamo riusciti ad aprirne in Senegal e Sudafrica, e ad oggi, in meno di due mesi, 37 Paesi africani hanno questo tipo di laboratorio d’analisi. Continuiamo a lavorare per raggiungere tutti i Paesi entro i prossimi giorni”.
Perche’ la priorita’, dice Stephen, “e’ individuare i casi positivi ed isolarli”.
Al momento i Paesi africani piu’ colpiti sono l’Egitto, con 59 casi, e Marocco e Tunisia, con due casi ciascuno. Ma questi Paesi, che insieme costituiscono la maggior parte dei casi, 63, “afferiscono alla sezione del Mediterraaneo orientale dell’Oms” chiarisce la responsabile. “Il mio Ufficio segue invece gli altri sette: Algeria, con 20 casi, poi Sudafrica con 7, Camerun, Burkina Faso e Nigeria con 2 casi ciascuno, e infine Senegal e Togo, un caso ciascuno”. Tutti e dieci i Paesi “ci hanno comunciato immediatamente le positivita’”.
Come si fa con quei Paesi che ancora mancano di laboratori e kit per i tamponi? “Sopperiamo noi dell’Oms – dice l’esperta – attraverso i nostri laboratori o inviando i campioni ai Paesi vicini. Nessuno resta scoperto”. Molti sistemi sanitari pero’ sono fragili. Come fare per rafforzarli? “Oltre a fornire ai governi tutto l’aiuto necessario a compensare le mancanze – risponde Stephen – giochiamo d’anticipo, rafforzando i controlli nei punti d’accesso ai Paesi. Prima inviduiamo casi positivi, prima possiamo metterli in isolamento. La sfida e’ evitare che il contagio raggiunga le comunita’”. In questo, le epidemie che l’Africa ha gia’ affrontato starebbero tornando d’aiuto. “Abbiamo imparato tanto” assicura Stephen. “Ad esempio, le epidemie di ebola del 2014 in Africa occidentale e quella recente in Repubblica democratica del Congo sono state arginate proprio rafforzando i controlli alle frontiere e agli aeroporti. Proprio perche’ i Paesi sanno di non avere sistemi adeguati si attrezzano per delle diagnosi immediate alle porte d’accesso”.
Poi segue la parte di isolamento e cura dei pazienti colpiti, sottolinea la dottoressa, “e supportiamo i singoli sistemi sanitari anche dal quel punto di vista, con training, scambio di informazioni, strumenti”.
Un lavoro che viene portato avanti anche attraverso un protocollo denominato Integrated Disease Surveillance.
“Il sistema di sorveglianza integrato delle malattie – spiega Stephen – e’ stato istituito nel 1998 dalla sezione africana dell’Oms per rafforzare il monitoraggio delle malattie e supportare i singoli Paesi nella risposta sanitaria. I Paesi seguono le linee guida che gli forniamo e ci restituiscono dati completi su malattie come malaria, Hiv, morbillo, ebola, febbre gialla e ora anche Covid-19. Inoltre e’ previsto un modo per segnalare sintomi non meglio interpretabili, cosi’ abbiamo la possibilita’ di individuare anche malattie nuove”. (Alf/Dire)

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