«Come contrastare l’oppressiva cappa della ‘ndrangheta? Innanzitutto, scrollandoci di dosso la brutta nomea che Reggio Calabria s’è “guadagnata” col triste record di primo Comune capoluogo di provincia d’Italia a essere sciolto per infiltrazioni mafiose, peraltro in stato di predissesto finanziario per il debito da 240 milioni di euro che abbiamo ereditato. Una ricaduta d’immagine negativa su scala nazionale, purtroppo acuita dal gran numero di fiction che, negli ultimi anni, si sono soffermate esclusivamente sul rapporto fra il nostro territorio e il crimine organizzato». Così il sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà, nell’àmbito della partecipatissima tappa del progetto A-Ndrangheta – Progettiamo una città senza crimine, fortemente voluto dal questore di Reggio Calabria Maurizio Vallone, svoltasi all’Istituto tecnico commerciale “Raffaele Piria” con l’introduzione e le conclusioni affidate alla dirigente dell’Itc Anna Rita Galletta e la presenza dell’imprenditore e testimone di giustizia Tiberio Bentivoglio e del giornalista Consolato Minniti.
«Ma cosa può fare un sindaco per contrastare la criminalità organizzata? Primo – ha fatto presente Falcomatà –, far sedere tutte le Istituzioni dalla stessa parte con lo scopo comune di ripristinare la legalità sul territorio, come s’è fatto col Protocollo nazionale anti-‘ndrangheta nel 2016 quando, col riconoscimento di Reggio Calabria quale Città metropolitana, ha avuto inizio un afflusso di denaro per milioni di euro, rispetto ai quali avevamo tutti bisogno di un’intesa per impedire ogni sviamento e convergere su procedure precise e restrittive. Un modo per propiziare la distruzione del tessuto ‘ndranghetistico, ma anche la costruzione di una “squadra-città” da parte della “squadra-Stato”. Secondo, trasformare l’altro triste record del numero di beni sequestrati e confiscati alle mafie in un primato positivo: quello del numero di beni strappati ai clan restituiti però alla collettività a fini sociali, rendendo realtà il nostro slogan “Le ville dei boss ai poveri” e completando così l’antico significato della legge Rognoni-La Torre. Questo perché, se tu una villa la sequestri alle ‘ndrine ma poi non la assegni a nessuno, nella percezione del cittadino quella villa sarà sempre il simbolo dello strapotere mafioso nel quartiere».
«Terzo punto, dotarsi di strumenti che affermano le regole anche nella pianificazione e nella costruzione della città – ha proseguito il sindaco metropolitano –: non per caso, sabato scorso il Consiglio comunale ha approvato il Psc, il Piano strutturale comunale. Quello che nel 1970 si chiamava Piano regolatore generale, son passati talmente tanti anni dalla sua approvazione precedente che questo strumento ha persino cambiato nome!, è il provvedimento che stabilisce “cosa si può fare dove” in città: dove ci saranno i servizi, dove il centro storico da tutelare, dove ci sono zone urbanizzabili e dove quelle rurali, dove si può costruire e dove no. L’assenza di questo strumento di fatto ha aperto le porte all’edificazione “selvaggia”, alla speculazione, che spesso con la criminalità organizzata vanno a braccetto: così sono stati costruiti agglomerati urbani laddove ancora l’Amministrazione non aveva ancòra realizzato le condotte fognarie e l’illuminazione pubblica. Epperò, molti di questi manufatti abusivi, sul lungomare di Gallico, sul lungomare di Catona noi li abbiamo demoliti: benché obblighi di legge anche queste sono scelte, atti ai quali questa città sicuramente non era abituata».
«Ma ci sono anche altri strumenti per far prevalere la legalità e contribuire alla sconfitta delle ‘ndrine. Il quarto è il lavoro – ha osservato Giuseppe Falcomatà –, perché la ‘ndrangheta trova terreno fertile nei territori in cui c’è bisogno, c’è disperazione, un padre di famiglia “deve portare il pane a casa”. Se togli il bisogno, togli spazio al potere mafioso e dai più attenzione a chi in questa città ha deciso di rimanere e d’investire: e anche se non rientra fra i compiti di un sindaco creare lavoro, chi fa il sindaco a Reggio Calabria non può “fare spallucce” di fronte al principale problema di questa città. Così, quest’Amministrazione ha salvato le società miste trasformandole in aziende pubbliche e ha avviato concorsi pubblici per 100 unità, quando l’ultimo concorso al Comune risaliva al 1999. Quinto punto, la battaglia culturale: dev’essere chiaro a tutti che per sconfiggere la ‘ndrangheta non si può solamente operare repressione. Se non iniziamo a capire che il “bene comune” è di ognuno di noi, che ognuno di noi dev’essere testimone della conservazione della bellezza e del decoro urbano della città, non ci sono forze dell’ordine che possano bastare, non c’è telecamera che tenga. Questa è la sfida che abbiamo davanti: una città ricca di cultura è anche una città più sicura, e noi dalla riapertura del Teatro comunale “Francesco Cilea” in avanti su questo abbiamo puntato molto. Ultimo strumento, ma non per importanza, la memoria delle persone: chi è stato ucciso dalla criminalità organizzata non va ricordato soltanto nei convegni o sui libri di storia, ma anche attraverso la toponomastica cittadina. E così, molte delle 372 nuove strade che abbiamo intitolato fin qui sono dedicate alla memoria delle vittime dei clan, che si sono immolate per una società più giusta, lasciandoci un grande esempio da seguire».