Morelli (UNHCR): Capiamo frustrazione ma violenza va condannata
(DIRE) Roma, 7 Gen. – Del sito umanitario per rifugiati e richiedenti asilo sudanesi nei pressi di Agadez, in Niger, non e’ rimasto quasi piu’ nulla: Domenica qualcuno ha appiccato le fiamme e l’80 per cento dei prefabbricati che accoglievano 1.500 persone, tra cui anche donne e 89 minori, sono stati ridotti in cenere. A riferirlo all’agenzia Dire e’ Alessandra Morelli, responsabile dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) in Niger, Paese crocevia dei migranti che dall’Africa tentano di raggiungere l’Europa attraverso la Libia.
Il rogo e’ divampato in seguito a scontri tra un gruppo di residenti e le forze dell’ordine: come riferiscono fonti di stampa internazionali, il 16 dicembre i residenti avevano lasciato il campo alla volta di Agadez per protestare di fronte alla sede di Unhcr contro condizioni di vita difficili nel campo e per chiedere di essere trasferiti al piu’ presto. Il sito e’ stato istituito dal governo ma e’ l’Unhcr a gestire l’intervento umanitario e le pratiche burocratiche. Il 4 gennaio le autorita’ avevano ordinato lo sgombero del sit-in e caricato a forza i dimostranti sulle camionette. Una volta ricondotti nel centro di transito, come confermano fonti di stampa internazionali, sono iniziati gli scontri con gli agenti della sicurezza, quindi l’incendio, dopo il quale 335 richiedenti asilo di nazionalita’ sudanese sono stati arrestati.
“E’ un disastro. Davanti a me vedo solo desolazione” riferisce Morelli, contattata durante la visita nel campo. “Unhcr condanna con forza questo gesto: potevano morire famiglie con bambini”.
Prosegue la responsabile: “Comprendiamo la frustrazione di queste persone, ma avevamo spiegato piu’ volte che stiamo lavorando duro per migliorare la loro situazione”. Morelli riferisce che ad aver appiccato le fiamme sono stati alcuni membri del movimento di protesta: “Hanno perso la testa, dopo che si e’ infranto il loro sogno di venire in Europa. Ma col loro gesto hanno rovinato la vita ai loro stessi connazionali”.
Secondo Morelli, “molti sono rimasti intossicati, e’ bruciata molta plastica. Ora sul posto sono arrivati i medici mobilitati dal ministero della Sanita’ insieme agli psicologi delle organizzazioni umanitarie”.
Un attivista locale per i diritti umani, sempre contattato dalla Dire, riferisce che a spingere i richiedenti asilo alla protesta e’ “il limbo in cui si trovano da mesi. Alcuni sono bloccati nel campo addirittura da due anni”. Secondo l’uomo, che dice di non voler rivelare la sua identita’ per timore di essere arrestato, “molte richieste d’asilo sono andate perdute. Queste persone non sanno che futuro li attende, non hanno risposte”.
L’attivista aggiunge: “Il campo si trova a 15 chilometri da Agadez e non c’e’ modo di raggiungere la citta’ se non andando a piedi attraverso il deserto. Denunciano di soffrire il caldo forte e il freddo, di ricevere poco cibo, 25 litri di acqua al giorno, scarse cure mediche e pochi posti letto. Molti dormirebbero a terra”.
Una situazione difficile, di cui pero’ l’Unhcr si dice piu’ che consapevole: “Il benessere psicofisico degli ospiti del campo e’ la nostra priorita’” assicura la rappresentante dell’agenzia Onu: “Queste persone ricevono tre pasti quotidiani sono ospitate in casette prefabbricate da tre a cinque posti e nel campo, oltre ai nostri operatori, lavorano tante organizzazioni umanitarie – tra cui Coopi, Medu e Intersos – che forniscono supporto medico e psicosociale. Parliamo di persone salvate dai campi di detenzione in Libia, che hanno subito violenze, o che fuggono da Paesi in conflitto”.
Quanto all’acqua, dice Morelli, “purtroppo siamo nel deserto e fatichiamo a trovare pozzi. Riforniamo il campo con i camion cisterna, quando i pozzi che scaviamo si esauriscono. Prima del rogo avevamo trovato i fondi per un progetto con le autorita’ per costruire 40 chilometri di tubature, per portare l’acqua direttamente dalla citta’”. Inoltre, prosegue la responsabile, “nessun dossier si e’ perso. Sono due anni che lavoriamo su questi documenti. Sono altre le ragioni dei tempi di attesa cosi’ lunghi”.
Come spiega Morelli, il governo del Niger ha impiegato tempo a identificare queste persone, “si doveva avere la certezza che non si trattasse di combattenti mercenari o trafficanti in fuga dalla Libia”. Quanto all’Unhcr, che gestisce i ricollocamenti verso l’Europa o i Paesi terzi, “bisogna attendere il via libera dei governi. Ad esempio, e’ in programma per il mese prossimo un corridoio umanitario verso l’Italia organizzato con la Caritas per 50 rifugiati, tra cui ci sono minori e donne in condizione di vulnerabilita’”.
Stando alla rappresentante, “le proteste di questi giorni sono state organizzate dai richiedenti asilo di origine sudanese che chiedono di essere portati in Europa. Capisco la loro frustrazione, ma il reinsediamento non e’ una soluzione per tutti, presenta criteri molto precisi”.
Questo perche’, sottolinea Morelli, “dipende dalle quote che ogni Stato membro fissa per i ricollocamenti”. Il Niger inoltre “ha offerto ai richiedenti asilo di restare e noi possiamo seguirli attraverso programmi di inclusione sociale e lavorativa”. Quindi la responsabile di Unhcr dichiara: “Temiamo che il rogo del campo sia orchestrato da alcuni trafficanti di esseri umani che temono di perdere i loro guadagni sul trasporto dei migranti in Europa attraverso la Libia. Centinaia di persone e famiglie sono rimaste senza nulla. Ora siamo al lavoro per trovare loro nuove sistemazioni”. Infine, sugli arrestati. “Ci siamo attivati per mediare” dice Morelli. “Speriamo che gli innocenti vengano rilasciati”.
(Alf/Dire)