«Passa il tempo, il mondo avanti va, e la Befana antica è ancora qui: per i monti valli e isole e città ritorna come un tempo, in questo dì; è sempre lei, non può mutare più perché c’è sempre al mondo gioventù». Nella poesia che il magistrato e scrittore Alessandro Galante Garrone dedicava alla vecchietta “che vien di notte” c’è tutto il fascino di un qualcosa che va ben oltre il mito e la magia, ed è per questo capace di resistere al trascorrere del tempo. Nel confondersi di credenze e tradizioni, seppur a fatica resiste un cuore cristiano, che riporta al viaggio dei Magi ed alla loro offerta di doni a Gesù, occasione del primo manifestarsi della divinità del Messia. Cercatori di Dio che non conoscevano la Bibbia, ma confidarono, oltre che nel proprio sapere, nel segno di una stella, essi venuti da Oriente, restano un punto saldo dell’immaginario collettivo anche se, in fin dei conti, personaggi non protagonisti, giacché il centro della scena era e resta Gesù. Eppure il loro lungo viaggio resta fondamentale, sia quale segno del cammino che ciascuno deve compiere per giungere alla verità, sia dell’errore che è in agguato lungo il percorso a tratti tortuoso. Ed in fondo, che cos’è quel carbone che la Befana cela tra i suoi tanti doni in fondo alla calza se non l’ammissione dell’esistenza del peccato e dell’invito alla conversione, a riprendere il cammino con realismo e fedeltà, consapevoli della fragilità delle nostre aspettative e del fatto che non è quaggiù che si celebra sempre la vittoria della giustizia e del merito? È, in altri termini, la trasposizione dei due volti di Dio, «uno di luce/ pascolo delle anime beate,/ ed uno fosco/ indefinito, dove sono sommerse/ la gran parte dell’anime, cozzanti/ contro la persistente/ ombra nemica: e vanno, in quelle tenebre,/ protendendo le mani come ciechi», come scriveva in una delle sue poesie Alda Merini: da un lato c’è quel gorgo di luce che attira e affascina, che smuove i Magi dalle loro placide esistenze, verso una meta di speranza, di gioia e di pace. È il volto del Dio d’amore che abbraccia uomini e donne senza distinzione di nazione e cultura e persino di fede purché il loro cuore sia puro. C’è, però, d’altro lato, anche il volto del Dio giusto e severo, al cui cospetto sono costretti a presentarsi anche i perversi della storia, tentando di celare per timore le loro mani insanguinate. Ecco, il senso profondo del viaggio, della ricerca, della scoperta: distacco, coraggio, speranza. I Magi, trovano il Bambino deposto in una mangiatoia, accanto ai genitori e traggono da questa scena umanissima di nascita l’indicazione che cercavano: la luce non si impone, la pace non ha armi, l’amore non ha confini. Allora sì che potranno tornare sereni verso le proprie terre, mani vuote, ma cuori colmi, riprendendo il cammino senza più bisogno della stella. Insomma, nella vita bisogna attendere dalla terra ciò che la terra può dare, e da Dio ciò che solo da Dio può venire. E quei regali che giungono con la Befana, dolci o cenere che siano, non sono altro che una conferma: è la vita il dono più grande.
+ Vincenzo Bertolone