«C’è grande povertà nel mondo: quella delle persone che non sono mai contente di nulla, quella di chi non sa ridere né piangere, quella di coloro che non sanno dare nulla di sé agli altri. Poi c’è la povertà ancora più gelida: quella dovuta alla mancanza d’amore». Quello che viene fuori dalle parole dello scrittore Romano Battaglia è un perfetto quadro della realtà, confermato, del resto, dall’Istat e dalle indicazioni dell’ultimo rapporto Caritas sulla povertà. Da quest’ultimo apprendiamo che in Italia le persone in stato di povertà assoluta sono circa cinque milioni, più o meno come nel 2018, ma in aumento del 181% rispetto al 2007, cioè alla fase precedente la grande crisi finanziaria che ha cambiato il mondo. I numeri sfornati dall’Istituto di statistica aggiungono però anche dell’altro. Se si va a verificare come gli italiani spendono i loro soldi, emerge il grande paradosso dei tempi presenti: mentre in tanti non hanno neppure da mangiare, la spesa complessiva per gli acquisti non food cresce dello 0,9% ed il 73% della popolazione è più attento alla qualità del cibo che consuma, con un 69% ben accorto a seguire una qualche forma di dieta. Dunque, se da un lato c’è chi – almeno teoricamente – non ha di che sopravvivere, dall’altro i più si alimentano con oculatezza e gusto, cercando sugli scaffali prodotti non certo di prima necessità. Si verifica, insomma, ciò che papa Francesco aveva intravisto e ben descritto: «S’avanza un benessere che tende ad essere egoista, a difendere gli interessi di parte a non pensare agli altri e a cedere al richiamo del consumismo. Così inteso, invece di aiutare, il benessere è portatore di possibili conflitti e disgregazione sociale». Non c’è dubbio, purtroppo: il consumo anche di realtà costose e sofisticate è ricercato e ossessivo e diventa il vessillo che sventola sulle coscienze dei consumatori, agitato dai venti della comunicazione di massa, che inducono a non apprezzare più il valore del distacco, a non assaporare la semplicità e la bontà dei prodotti più modesti e delle cose semplici: siamo diventati sempre più pretenziosi, esigenti, insoddisfatti. Reclamiamo dagli altri quelli che riteniamo essere nostri diritti esclusivi, non mancando di cadere nell’aggressività e nell’ira pur di conseguirli, mentre avremmo tanto bisogno di ritrovare la capacità di gustare ciò che ci è donato, ad iniziare dalla vita. È vero: l’uomo, per natura, quasi per definizione, non è mai contento di ciò che è né di ciò che ha, ma cerca sempre qualcosa di più. Ma l’illusione che la felicità ed il benessere siano semplicemente dalla somma di tante cose è l’errore più grande e grave che possa capitarci. Invero, il buon vivere – come il vivere bene – si raggiunge solo moltiplicando la possibilità di amore. Come? Coltivando l’importanza e la bellezza delle relazioni, ad iniziare da quelle in seno alla famiglia, che dovrebbe tornare ad essere un’oasi di felicità, e non di conflitti ed egoismi. In fondo, vale ancora quel che scriveva Alessandro Manzoni: «Si dovrebbe pensare più a fare bene che a star bene: si finirebbe anche con lo star meglio».
+ Vincenzo Bertolone
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