«I vostri figli non sono i vostri figli. Essi non vengono da voi, ma attraverso voi, e non vi appartengono benché viviate insieme. Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri, poiché essi hanno i loro pensieri. Potete custodire i loro corpi, ma non le loro anime: essi abitano, infatti, in case future che voi neppure in sogno potrete visitare». La riflessione del poeta Kahlil Gibran pare quasi scritta a commento dell’inchiesta apparsa qualche giorno fa sul Washington Post su un tema assai curioso e delicato: quello dei genitori che attraverso le nuove tecnologie, con una semplice applicazione installata sul telefonino, riescono a tracciare i movimenti dei figli 24 ore su 24. Ne scaturisce spontanea una domanda: è giusto o sbagliato? I ragazzi, naturalmente, non mostrano dubbi: per loro il sistema escogitato non è una soluzione ideale alle ansie degli adulti. Non a caso, in rete fa già rumore il tam tam sui possibili modi di eludere il controllo di mamma e papà. Così, mentre qualcuno suggerisce di tenere la propria Sim in un vecchio telefono, da sacrificare e lasciare nel posto in cui i genitori si aspettano che sia, diverso – ovviamente – da quello in cui effettivamente si trova, altri più smaliziati consigliano di passare al contrattacco con le stesse armi, installando applicazioni che forniscano ai controllori indicazioni fuorvianti.
Il quadro che ne vien fuori non è certo edificante: da un lato, padri e madri sospettosi e rosi dal tarlo dell’insicurezza. Dall’altro, giovanissimi intenti a raggirare i familiari. Al centro, ignorato, il vero problema, che coinvolge fiducia, rapporti personali, leggi e – in particolare – aspetti educativi ed etici. Anzitutto, chi ha pensato a questi sistemi di telecontrollo non si è probabilmente interrogato sull’impatto che essi hanno su conservazione ed integrità dei rapporti familiari, prediligendo invece la logica degli affari, secondo i quali in nome di un’ostentata sicurezza diventa lecito far pagare abbonamenti e rivendere a fini di marketing anche i dati raccolti. C’è poi una considerazione, essa pure ignorata anche se vitale: la persona non può essere mai un oggetto e, di conseguenza, non può mai essere un possesso, neppure nel caso dei figli.
Ai genitori, allora, va ricordato che il comportamento degli amati pargoli è legato alla testimonianza fornita loro: il ragazzo che si fida, ama e ammira i propri genitori; quello che ne scopre le ipocrisie, invece, li giudica di conseguenza; quello che ne è deluso, infine, li accusa di non essere stati capaci di educarlo alla vita. È pur vero che i ragazzi hanno bisogno di autonomia dai genitori, e se si vuole che coltivino la fiducia e crescano capaci di prendere decisioni consapevoli, hanno soltanto bisogno di esempi positivi da parte di padri e madri. Né più né meno di quel che scriveva, con crudo realismo, un altro poeta, Giuseppe Giusti: «I figli non basta farli, v’è la seccaggine dell’educarli!».
Vincenzo Bertolone
fonte – https://bit.ly/2PmrbX6