Fra gli interventi successivi, il consigliere delegato alle Partecipate Francesco Gangemi ha osservato che «prima Reggio Calabria era una città affossata mentre quest’Amministrazione, malgrado l’handicap economico iniziale, ha ridotto di circa il 70% il deficit dell’Ente». Nel suo intervento conclusivo, il sindaco Giuseppe Falcomatà tra l’altro ricordato come negli anni precedenti all’atto di votare i bilanci vi fosse «un fuggi-fuggi generale, forse per la scarsa veridicità di quelle cifre, come poi attestato dai giudici nel “processo Fallara”»; malgrado già in occasione del primo bilancio varato dall’Amministrazione oggi in carica la strada più semplice risultasse dichiarare il dissesto, però, si è scelta quella più impervia «per tutelare gli interessi di professionisti, società e imprese che avevano scelto di restare a operare qui e che ad distanza di anni non avevano visto soddisfatti i propri crediti, ma anche perché il dissesto sarebbe stato un colpo letale per l’immagine della città». Il tentativo di trovare soluzioni ha portato a spalmare il piano di rientro dal deficit in 30 anni anziché in 10, salva la pronuncia della Corte costituzionale e l’utilizzo delle “finestre normative” successive per una dilazione a 20 anni: l’Amministrazione però è già riuscita a ripianare ben 61 milioni di euro di disavanzo sui 110 complessivi. Quanto al personale, ha ribadito Falcomatà come il Comune abbia un organico di circa 800 dipendenti contro un fabbisogno di 1.700, e lo stesso concorso per 54 unità rappresenti «una goccia nel mare». Destituite di fondamento le critiche sulla presunta carenza d’investimenti in cultura e turismo, il primo cittadino ha sottolineato il netto miglioramento sul fronte della riscossione sul piano contabile ma anche, sul versante sociale, l’importante ricucitura con porzioni significative della comunità avvenuta in questi anni, come ad Arghillà. Esaltato il dato sulle politiche in tema di partecipazione, da Giuseppe Falcomatà è giunto un veemente invito a una battaglia comune contro il regionalismo differenziato che, se attuato, porrebbe «la parola “fine” sulla rivendicazione dei diritti dei cittadini di tutto il Sud Italia». Il Dup è stato quindi licenziato a maggioranza, ma l’immediata esecutività è stata approvata a voti unanimi perché dopo aver votato nel merito del provvedimento i consiglieri d’opposizione hanno lasciato l’Aula.
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