Il Mezzogiorno è entrato nella storia d’Italia da sconfitto e da sconfitto è rimasto per oltre 150 anni. A causa, secondo me, principalmente delle sue classi dirigenti. Il problema della spesa storica, ben evidenziato da questo giornale, penalizza le regioni meridionali. Questo è stato possibile per le scelte del Parlamento. Ma la Camera, dal 1861, e il Senato, dal 1948, è stato, fino a oggi compreso, sempre a maggioranza centro-meridionale. Quindi risulta evidente come le classi politiche del Mezzogiorno non abbiano mai tutelato, se non a tratti e sporadicamente, sopratutto negli anni Sessanta, le ragioni degli elettori che rappresentano. Il contesto storico peraltro ci dimostra, nella sua interezza, che la politica nazionale non solo ha contribuito a creare una questione meridionale che, come dimostrano gli studi di Paolo Malanima e Vittorio Daniele, era inesistente al momento dell’Unità ma che è stata capace di fare nascere anche una questione settentrionale, lasciando in ombra la vera questione nazionale: quella romana. Infatti, risolta nel 1929 la vicenda con la Santa Sede, oggi consiste nell’assorbimento di risorse sempre più ingenti, in cambio di servizi sempre più scadenti alla comunità nazionale. Non siamo al “Roma ladrona” o “Roma padrona” ma poco ci manca poiché la Capitale vive esclusivamente di rendita di posizione e soffre della malattia della centralità. Se analizziamo lo studio di Domenico De Masi su Roma 2030 vengono indicati i problemi ai quali la città andrà incontro nei prossimi anni: emigrazione intellettuale, conseguenze delle opere pubbliche progettate male, difficoltà di integrazione soprattutto nelle periferie e con i rom. In uno scenario del genere, rivendicare le ragioni del Sud significa perseguire l’interesse nazionale che può essere realizzato solo da classi dirigenti responsabili verso il domani. È possibile questo con deputati e senatori nominati su liste bloccate e destinatari di consensi emotivi, indicati con centinaia di like o con la benevolenza del ristretto consiglio delle ombre che compone le liste? Infatti, capacità e merito per ricevere voti non sono requisiti necessari. Se poi notiamo che il corpo elettorale è composto da cittadini che al 75 per cento non comprendono una semplice frase in italiano oppure al 27 per cento risultano analfabeti funzionali, il quadro diventa più chiaro. In tale contesto, dimostrare con i numeri lo scippo del Sud, in definitiva non interessa a nessuno, a cominciare dalle élite meridionali, preoccupate solo della propria personale sopravvivenza, e neanche agli elettori del Sud, immersi nella disinformazione totale. C’è un modo per uscirne? I tempi lunghi della consapevolezza e dell’educazione configgono con l’immediatezza della comunicazione e dei social, dove si realizza l’effetto sciame: le ondate di indignazione come rapidamente si innalzano così rapidamente si attenuano. Con una capacità di incidenza sulla realtà prossima allo zero, dando peraltro l’illusione della partecipazione. Per fare ripartire l’Italia occorre un progetto politico per il Sud, che non sia rappresentato da un Partito che agiti il vessillo del Mezzogiorno per raccogliere qualche deputato che una volta assiso sullo scranno tutto fa tranne che occuparsi di chi lo ha votato. Esattamente come fanno quasi tutti gli altri. Come parlare di Sud quando gli algoritmi indirizzano scelte e consumi in una frazione di secondo? Forse una possibilità sarebbe creare un’inteligenza artificiale a misura di Sud. Le Università meridionali sono chiamate a raccolta. Saremo capaci di percorrere questa strada? Intanto ragioniamoci subito.