Che fine hanno fatto le storiche pietre Miliari sulla Napoli–Reggio Calabria?

Limitandoci a sottolineare che, chi “disegnò” Reggio post terremoto, ne fissò il ruolo di capoluogo regionale anche in termini architettonici oltre a fissarne precisi limiti e confini. Per esempio, verso Pentimele, quindi verso Napoli, la Via S. Caterina smetteva di chiamarsi in questa maniera proprio in corrispondenza all’edificio del “Dazio” che era dotato, all’angolo, di una fontana di ghisa dotata di una certa eleganza. E di questa fontanina andrebbe sottolineata la quasi miracolosa ricollocazione in situ a recuperare un pezzetto della memoria collettiva della cittadinanza.

Con piacere ho rivisto la recente rilocazione dell’antica fontanella a Santa Caterina. Lascio al Comitato, nato a suo tempo per il mantenimento del simbolo della “Cabella”, ogni giudizio sul merito della qualità del ripristino. Come cittadino sono contento che non sia stato disperso l’arredo urbano di riferimento alla stazione del Dazio situata all’ingresso della città.Proprio a sottolineare l’arrivo alla sua naturale conclusione della Strada Statale 18 “Tirrenica Inferiore”, proprio dirimpetto alla fontana, era stata collocata (da chi? Dall’ANAS di cui compare semi-cancellato il logo, o dal Comune che sapeva bene dove si collocasse il confine della città?) una elegante “Colonna termine”. Al di là della colonna la via era ancora SS 18 “Pentimele” ed al di quà diventava Via S. Caterina di Alessandria nello stradario urbano.

Prima di dare uno sguardo all’oggetto in se, da valutare sia in termini di eleganza formale sia in termini di perizia esecutiva, va sottolineato il fatto banale che la colonna serviva a segnare, proprio al confine dell’abitato, l’avvenuto compimento del percorso viario da Napoli, quindi, da città capoluogo a città capoluogo. E forse per questo nessuno più a Reggio mostra di sapere quale sia l’originario significato di quella colonnina termine che, maestranza locali cavarono, da un unico blocco di “Pietra di Lazzaro”. A chi ne osservasse con distrazione le forme squadrate, ma abbastanza “articolate”, potrebbe sfuggire che è stata cavata di scalpello in un sol pezzo (a parte la prima parte del basamento) ed affondata solidamente nella malta. E forse proprio alla originaria solida collocazione ed alla indiscussa solidità della pietra da cui è stata ricavata, dobbiamo il fatto positivo che ancora possiamo osservarla integra ed al suo posto. Forse al “miracolo” ha contribuito il fatto che nessuno, vista la sicura solidità dell’oggetto, ha avuto il desiderio di scavarci di sotto o ai lati per collocare al suo posto chissà quale moderna “pubblica utenza”.

E sappiamo che questo tipo di dispregio di quello che ci viene dal passato, sia pure se si tratta di cose in se eleganti e siano; arredo urbano che costituisce il collante di ogni comunità “civile” di uomini; un bene collettivo (ogni cosa ha avuto un costo quindi conserva un valore, anche venale, che è proprietà di tutti); del decoro di una città che, non marginalmente, fu capoluogo (il decoro è una cosa immateriale ma, quando c’è, è di tutti); della perizia dei padri che seppero concepire delle cose per poi compierle bene; è chiaro a tutti che sia, ormai, un atteggiamento rubricabile come “sentire comune” il che, temo, non ci rende più degni di essere chiamati “cittadini”. Ed a riprova della nostra dubbia cittadinanza, esattamente ad un chilometro da lì, quindi al Km 532 da Napoli sulla Strada Statale Tirrenica Inferiore, si trovava una bella pietra miliare anche quella ricavata dal blocco ma assai meno ornata dato che non era una colonna termine ma solo una pietra miliare, umile ma fondamentale, nell’arredo della strada. Ormai non è più in vista. E’ scomparsa agli occhi di tutti che, però, forse non se ne sono manco accorti. Da chissà quando è stata divelta e buttata appena oltre il ciglio stradale. Per il suo peso è un po’ sprofondata nel terreno ed è ricoperta, su parte della superficie esposta, da uno spolvero di bitume arrivatogli in occasione di un qualche rappezzo al manto stradale (in effetti proprio lì accanto, spiccano degli armadi che contengono chissà quali utenze moderne elettriche o telefoniche che hanno preso il posto dell’arredo viario), non è ancora coperta di spazzatura forse perché il ciglio della strada è luogo di parcheggio di auto ma risulta quasi nascosta dalle erbacce che gli crescono attorno.

In conclusione, l’immagine della città che i cittadini dell’età mia hanno fissato nella memoria, ha circa 100 anni, che non sono neanche tanti, ma parrebbero siano stati sufficienti ai Reggini per dimenticare anche i più minuti dettagli dell’arredo viario (che non erano umili perché indici di adeguata educazione al senso estetico oltre che di sicura capacità di compiere azioni, complesse e costose, fino ai dettagli entrambe cose diventata merce rara) che connotarono una città elegante che fu capoluogo. Non so se allora abbondasse il denaro (non credo) comunque la scelta del materiale della colonna termine parrebbe significativa. Infatti non è marmo scultoreo e neanche marmo di Carrara ma assai più solida pietra locale che, nulla togliendo al decoro, mette (metteva) al riparo da ogni spesa superflua il che attesta non la parsimonia di quegli uomini quanto il loro senso della misura che è (lo è ancora?) il segno distintivo di ogni sana pubblica amministrazione. Da cittadino mi chiedo su chi doveva vigilare affinchè non scompaino ancora le storiche pietre miliari: L’Amministrazione Comunale. ANAS e/o Sovrintendenza ai Beni Culturali.

F.D.

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