L’arte degli arazzi emoziona fino alle lacrime e induce chi li ammira in stato confusionale. Negli ultimi sei mesi, una decina di visitatori ha manifestato la sindrome di Stendhal. Lo psicoterapeuta Lorenzo Lorenzoni spiega come e perché si manifesti nei soggetti più sensibili.
Che l’arte influenzi la mente è un dato di fatto. Se i medici francofoni di Montreal, in Canada, sono arrivati a prescrivere ai loro pazienti la “Museum Therapy”, un motivo c’è. Il “viaggio dell’anima” in un luogo ricco d’arte è capace di risvegliare emozioni e sentimenti che, a volte, sono talmente forti da sfociare nella cosiddetta sindrome di Stendhal, affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni nelle persone al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza, specialmente se esposte in spazi chiusi. A Palazzo Zaguri, ambiente di per sé suggestivo, che fino al 30 Settembre ospiterà gli arazzi protagonisti della mostra “Da Kandinsky a Botero. Tutti in un filo” la sensibilità della persona è messa alla prova ogni giorno. Queste opere esteticamente superbe, spesso e volentieri più luminose e belle dei dipinti di cui sono rifacimenti fedelissimi, sono così evocative e coinvolgenti da scatenare nell’ammiratore uno “scuotimento dell’anima” tale da trasformarsi in un vero e proprio disturbo psicosomatico. C’è chi abbandona precocemente la mostra, com’è successo la settimana scorsa a una visitatrice italiana, “sconvolta dal turbinio di colori e dall’estrema brillantezza delle opere”. E c’è chi, durante le visite guidate della curatrice Donatella Avanzo, scoppia addirittura a piangere per la commozione. Tachicardia, senso di svenimento, vertigini, giramenti di testa, confusione mentale, euforia incontrollabile, difficoltà respiratorie: sono già una decina, le persone colpite dalla sindrome di Stendhal a Palazzo Zaguri, costrette ad allontanarsi dall’opera che stavano contemplando estasiate. Succede a chi è particolarmente sensibile: le opere d’arte nascono con l’obiettivo di suscitare emozioni, comunicando profondamente con lo spettatore. Chi viaggia con l’immaginazione può lasciarsi coinvolgere dal turbinio emozionale scatenato dall’opera, fino a far scoccare, appunto, la sindrome di Stendhal. Gli arazzi di Palazzo Zaguri hanno la peculiarità di esaltare la bellezza dei quadri, facendo vivere al visitatore le immagini in versione tridimensionale. Potrebbe essere questo uno dei fattori scatenanti, come spiega lo psicologo e psicoterapeuta ferrarese Lorenzo Lorenzoni*, specializzato nei disturbi dell’ansia: “Le personalità sensibili possono essere oggetto di turbamento, con episodi di forte stato ansioso, nel momento in cui si trovano proiettate all’interno dell’immagine che stanno osservando. È una sensazione che coinvolge, assorbe, avvolge, ingloba il soggetto portandolo a disturbi dell’ansia in un’involontaria elaborazione psico cognitiva dell’afferenza sensoriale, ossia l’insieme degli impulsi che giungono dalla periferia ai centri nervosi superiori. È un tipo di esposizione che costituisce una sorta d’immersione dei sensi, equivalente a un grande stress, capace di produrre reazioni arcaiche di autodifesa, assolutamente involontarie, con conseguente aumento dell’adrenalina. Un meccanismo naturale che porta alla fuga”. “L’invasione sensoriale d’immagini di grandi dimensioni, brillanti e colorate – conclude il Dott. Lorenzoni – scuote al punto da provocare, a volte, veri e propri attacchi di panico. Inconsapevolmente il corpo reagisce a quello che sente come una sorta d’impossibilità di elaborare tutta la quantità del materiale propostogli, esaltata dalla grandiosità delle opere esposte”.