Astete: Le nuove generazioni proteggano questa meraviglia Inca
(DIRE) 22 Mar. – “Machu Picchu soffre gli effetti dei cambiamenti climatici. Ad esempio, l’aumento delle temperature accresce anche le piogge, che ora raggiungono i 2.200 millimetri all’anno. L’acqua, infiltrandosi, puo’ danneggiare i monumenti”. Il monito giunge da Fernando Astete, antropologo e direttore del parco archeologico di Machu Picchu dal 1994 al mese scorso. Il suo impegno per conservare e comprendere il “pensiero andino” che conserva questo santuario Inca, gli e’ valso il soprannome di ‘Guardiano di Machu Picchu’. L’agenzia ‘Dire’ lo intervista Astete a Roma, dove l’esperto ha partecipato a un incontro organizzato dall’ambasciata del Peru‘ in Italia in collaborazione con l’Istituto italo-latino americano (Iila) e Mediatrends. “Il Peru‘ e’ un Paese fondamentale per capire i cambiamenti del clima dal momento che e’ l’epicentro mondiale della biodiversita’: e’ il Paese che contiene piu’ forme di vita, piu’ climi ed ecozone di qualsiasi altra nazione al mondo” spiega ancora alla ‘Dire’ Adine Gavazzi, architetto titolare della cattedra Unesco in Antropologia della salute, biosfera e sistemi di cura presso l’Universita’ di Genova. L’ateneo ligure ha avviato una collaborazione insieme con l’Universita’ della Svizzera italiana a Lugano “proprio per promuovere Machu Picchu come modello di conservazione e resilienza a livello mondiale. Secondo Gavazzi, “per capire gli effetti dei cambiamenti climatici, le comunita’ indigene sono fondamentali, perche’ conoscono la biodiversita’ molto meglio di noi”. E’ questa collaborazione tra saperi diversi che ha reso Machu Picchu un modello. “Piu’ di ogni altra civilta’ occidentale preindustriale, quelle preispaniche colpiscono perche’, osservandole, ci rendiamo conto che hanno profondamente modificato l’ambiente naturale, plasmandolo per rispondere ai propri bisogni” dice Nicola Masini, ricercatore del Cnr-Ibam (Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto per i beni archeologici e monumentali), responsabile di uno studio geofisico e geotermico nel sito peruviano. Masini tiene a chiarire: “Se noi con la rivoluzione industriale abbiamo danneggiato l’ambiente, questi popoli hanno saputo intervenire in modo sostenibile”. E infatti la conservazione delle vestigia delle civilta’ preispaniche passa per la collaborazione con i nativi, riprende Gavazzi: “Lavoriamo a stretto contatto con le comunita’ indigene perche’ sono in grado di insegnarci gli effetti del cambiamento climatico, e come rispondere. Una parte importante del nostro lavoro consiste nella riforestazione e questi popoli lo sanno fare meglio di noi perche’ hanno una conoscenza piu’ approfondita della biodiversita’. Per esempio, se un ghiacciaio perde neve, e si forma una nuova superficie che viene poi raggiunta dalla vegetazione e dalla fauna, i nativi sanno comprenderla meglio da subito. E’ guardando il loro esempio che noi impariamo”. Machu Picchu, evidenziano gli esperti, e’ un esempio chiave del livello di sviluppo tecnico e culturale raggiunto dalla civilta’ Inca, che ne avvio’ la costruzione circa otto secoli avanti Cristo, e solo l’arrivo dei conquistatori spagnoli nel Cinquecento pose termine all’espansione del sito. La sopravvivenza di questo luogo circondato da 18 montagne sul limitare dalla foresta Amazzonica, e’ minacciata anche da un altro fenomeno: il turismo di massa. “A Machu Picchu arrivano tra i 4mila e i 6mila visitatori al giorno” calcola Astete. “Di recente abbiamo implementato un meccanismo di prenotazione che permette di diluire gli ingressi. Tuttavia il passaggio delle persone su camminamenti e scalinate centenarie erode la roccia e il suolo”. Il “turismo culturale” e’ una grande fonte di sviluppo per l’economia peruviana, ma comporta una grande sfida per gli esperti del sito: “Ogni 15 giorni – dice Astete – calcoliamo al millimetro lo stato di erosione del terreno causato dal passaggio dei turisti, per capire il volume di materiali da reimmettere sul terreno, e che preleviamo dalla stessa cava che usarono gli Inca. Ii gradini costruiti nella pietra, pero’, non si possono sostituire”. Anche i sistemi di drenaggio dell’acqua piovana sono quelli originali, sottolinea Astete: “Noi li abbiamo solo potenziati”. E’ per questo che in Italia l’antropologo sta partecipando a una serie di convegni. “Alle nuove generazioni spetta una grande responsabilita’” sottolinea Astete: “portare avanti il lavoro di conservazione di uno dei monumenti piu’ enigmatici del mondo ed icona dell’identita’ nazionale peruviana. Lo dovranno fare come lo stiamo facendo noi, ovvero rispettando l’originalita’ del monumento, i materiali e la struttura”. Ieri Astete ha partecipato a un convegno internazionale su “monitoraggio e manutenzione nelle aree archeologiche, cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico, degrado chimico ambientale”, presso la Curia Iulia al Foro di Roma. Stasera interverra’ invece a una conferenza al Mudec, il Museo delle culture di Milano. Infine tappa lunedi’ a Lugano, presso l’Universita’ della Svizzera italiana, per un incontro suggellato dalla collaborazione con la cattedra Unesco, dell’Universita’ di Genova – specializzata in siti di patrimonio mondiale. (Alf/Dire) 15:12 22-03-19