Sono ritenute attività pericolose ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile tutte le pratiche con spiccata potenzialità offensiva. La scuola d’equitazione deve risarcire perché ha mancato di vigilare sulla cavallerizza che aveva svolto otto lezioni
Uno degli sport più affascinanti è, senz’altro, l’equitazione che però nasconde anche inevitabili pericoli e pure la possibilità di danni, a volte fatali, per coloro che si approcciano o perseguono quest’attività per hobby o come vera e propria disciplina sportiva. Tuttavia, per la Cassazione, il centro ippico deve rispondere dell’incidente subìto dall’allievo inesperto ai sensi dell’articolo 2052 del codice civile – che disciplina il danno cagionato da animali – perché ha omesso la vigilanza su un’attività notoriamente pericolosa tra le quali va annoverata anche quelle che per natura o caratteristiche comportano una «rilevante» probabilità del verificarsi del danno. Proprio in data di ieri, 8 marzo, la Suprema Corte ha precisato il principio in questione con l’ordinanza 6737/19. Nella fattispecie – che rappresenta un caso tipo d’infortunio, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ed è anche utile quale precedente per tutti coloro che lamentano danni analoghi – i giudici della terza sezione civile, hanno rigettato il ricorso del titolare di un maneggio già condannato in primo e secondo grado a risarcire una donna che dopo una caduta da cavallo riportava diverse lesioni, ed in particolare, un trauma contusivo distorsivo del polso sinistro con frattura del radio. L’incidente si sarebbe verificato perché dopo che la donna aveva acquistato un pacchetto di dieci lezioni equestri presso il suddetto circolo ed aver partecipato ad alcune, sempre sotto la guida di un’istruttrice effettuando solo andature al passo e al trotto e durante lo svolgimento della settima e dell’ottava lezione, all’interno dell’area del maneggio, il titolare del maneggio stesso, ritenendola pronta a iniziare il galoppo, malgrado i timori palesati dalla stessa, avesse intimato al cavallo ad alta voce l’ordine di partire al galoppo provocando il repentino scatto dell’animale e la caduta a terra della attrice con le conseguenze su menzionate. La stessa, quindi, aveva agito in giudizio nei confronti del centro ippico, chiedendo accertarsi la responsabilità ai sensi dell’articolo 2050 o 2052 del codice civile. Per i giudici di merito anche se l’attrice avesse chiesto all’istruttore di andare al galoppo, non avendone le capacità, questi avrebbe dovuto impedire alla stessa di procedere al galoppo. Anche per i giudici di legittimità, quindi, è valida tale interpretazione e sussiste inevitabilmente la responsabilità del maneggio ai sensi del richiamato articolo 2052 del codice civile di «danno cagionato da un animale, di proprietà o sotto il controllo del danneggiante». L’attività di equitazione è «notoriamente annoverata tra le attività pericolose e sussunta nell’articolo 2050 ma se la cavallerizza è esperta la stessa attività rientra tra i danni cagionati dagli animali ex articolo 2052». Le attività pericolose, infatti, «non sono solo quelle qualificate come tali dalla legge di pubblica sicurezza e da altre leggi speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportino, in ragione della loro spiccata potenzialità offensiva, una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, con accertamento concreto demandato al giudice di merito. La Corte d’appello pone alla base del suo ragionamento decisorio «responsabilizzante il soggetto che doveva esercitare il controllo sulla attività pericolosa, ovvero il circolo, il fatto che la danneggiata non fosse una cavallerizza esperta, avendo sostenuto soltanto sette o otto lezioni di equitazione».
c.s. – Giovanni D’Agata