La bellezza dell’arte del mosaico che a Ravenna trova la sua massima espressione mondiale, unita al fuoco di “amore repubblicano” che fa della città una delle tre isole verdi della regione, assieme a Cesena e Forlì. Byron vi abitò per un periodo di tempo nemmeno troppo corto, Oscar Wilde le dedicò addirittura una poesia. Benvenuti nella capitale della sanguigna Romagna, dove il Sangiovese scorre a fiumi e icappelletti in brodo riscaldano stomaco e umori. Prime tracce di Pianura Padana per chi viene da sud e un piovigginoso sabato invernale fa da sfondo – direi tipico a queste latitudini – alla visita della città. Il mare è distante una manciata di chilometri dal centro storico ma un canale, chiamato di Candiano, lo conduce fino a dietro la stazione dei treni. Decenni addietro la scoperta del metano nel sottosuolo e la creazione di una raffineria di petrolio produssero una sorta di febbre dell’oro, e per una provincia tipicamente agricola come questa, le cose cambiarono di colpo. A Raul Gardini, suo cittadino illustre, divenuto celebre negli anni ’80 per la scalata alla Montedison, e poi per la nascita e quindi il fallimento di Enimont con tutto quello che ne conseguì, Tangentopoli compresa e il suo tragico suicidio, i ravennati hanno dedicato pure una via del centro. Ma Ravenna è soprattutto ricca di storia, di quella con la S maiuscola, se andiamo indietro nel tempo di parecchio.
RAVENNA TRE VOLTE CAPITALE
Ammirare i soffitti, in particolare, lascia stupefatti. Quegli azzurri stellati, quei gorghi d’oro, quelle figure divine, tutto ci fa capire che siamo in uno dei vertici della storia dell’arte. Studenti e turisti a frotte, tutto sommato è un bel periodo per visitare la città, perche c’è da immaginarsi in primavera il flusso di visitatori in questi ambienti. Il giro prosegue con una puntata ai due battisteri, quello neoniano e quello degli ariani e poi la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, mentre per Sant’Apollinare in Classe occorre riprendere l’auto perché subito fuori città. Il centro del passeggio è in Piazza del Popolo, mentre la chiusura del tour cittadino, dopo aver fatto una capatina in Duomo e all’interno del Museo Arcivescovile è alla tomba di Dante e la confinante Basilica di San Francesco.Ravenna tre volte capitale, si dice: dell’Impero Romano d’Occidente prima, di Teodorico re dei Goti poi, e dell’impero di Bisanzio in Europa in ultimo. Ne conviene che l’Unesco,nei tempi moderni, abbia avuto un felice imbarazzo della scelta per dichiarare ben otto suoi edifici Patrimonio dell’Umanità. Ravenna è quindi una summa di bellezze derivanti da varie e nobili culture. Un mosaico, appunto. La visita della città parte per noi da Porta Adriana che ci immette nel passeggio della trafficatissima e commerciale Via Cavour. Subito la deviazione per la Basilica di San Vitale e l’attiguo Mausoleo di Galla Placidia.
LA CRIPTA SOTTO IL LIVELLO DEL MARE. UNA PISCINA CON I MOSAICI
Assolutamente da vedere con i propri occhi è la cripta sottostante la Basilica appena citata, perché si trova sotto il livello del mare e per tale ragione è letteralmente allagata! Sotto l’acqua limpida illuminata dai fari, eccezionale è la vista dei mosaici a pavimento, mentre i pesci rossi vi nuotano con naturalezza. Fuori la chiesa, la processione di gente ci indica subito l’ubicazione del mausoleo che costituisce l’ultimo luogo terreno del “sommo poeta”. Erano stati i frati francescani ravennati a occultare le ossa di Dante, perché il “sommo” era uno di loro. Alla fine ritornò pure il sarcofago e ai fiorentini fu concessa solo una cosa: ogni anno, il 14 settembre (anniversario della morte di Dante) il lumino posto sopra la stanza che ospita le spoglie viene alimentato con olio di oliva toscano. Le ultime tribolazioni per le ossa di Dante risalgono alle finali e tormentate battute della seconda guerra mondiale, con Ravenna in pieno fronte di guerra. La cassetta dovette essere nuovamente nascosta e venne sepolta poco distante, sotto un tumulo coperto di vegetazione. Ora, una lapide ricorda il fatto.
QUI VENNE A MORIRE DANTE ALIGHIERI
La storia, infatti, ci dice che Dante Alighieri trovò ospitalità e qui morì (1321) per la malariacontratta durante un precedente suo viaggio a Venezia. Firenze che lo aveva scacciato in vita ne cominciò a reclamare le spoglie subito dopo e per secoli ancora, in verità. I Medici una volta arrivati al soglio pontificio in effetti riuscirono pure nell’impresa, ma in Toscana vi arrivò solo il sarcofago vuoto. Erano stati i frati francescani ravennati a occultare le ossa di Dante, perché il “sommo” era uno di loro. Alla fine ritornò pure il sarcofago e ai fiorentini fu concessa solo una cosa: ogni anno, il 14 settembre (anniversario della morte di Dante) il lumino posto sopra la stanza che ospita le spoglie viene alimentato con olio di oliva toscano. Le ultime tribolazioni per le ossa di Dante risalgono alle finali e tormentate battute della seconda guerra mondiale, con Ravenna in pieno fronte di guerra. La cassetta dovette essere nuovamente nascosta e venne sepolta poco distante, sotto un tumulo coperto di vegetazione. Ora, una lapide ricorda il fatto.
Antonio Virduci