Riceviamo e Pubblichiamo
Credo che nessuno di coloro, il sottoscritto tra quelli, che hanno abbracciato fin dalle primarie la scalata di Giuseppe Falcomatà alla carica di sindaco di Reggio potesse immaginare, allora, il disastro che gli si sarebbe presentato davanti agli occhi dopo qualche anno. Egli è riuscito nell’impresa titanica di racchiudere nella stessa famiglia, e a distanza di una sola generazione, il migliore e il peggiore sindaco del dopoguerra. In ciò, adeguatamente supportato dalla pletora di assessori, tra cui quello chiamato dopo varie peregrinazioni tra destra e sinistra solo per cooptarne il movimento – partito di riferimento, consiglieri delegati, consiglieri semplici, esperti, capi di gabinetto, componenti di staff. Tra tutti loro, si contano sì e no sulle dita di una mano quelli che si salvano dal rovinoso naufragio della nave col suo comandante al timone. Quando venne a trovarmi, alla vigilia delle primarie, per chiedere di aiutarlo, mi permisi di consigliargli di consacrare almeno il 90 % delle energie e delle risorse, non solo finanziarie, dell’Amministrazione, a migliorare l’esistente, e solo dopo pensare ai grandi progetti. Strade, pulizia, acqua, pubblica illuminazione, cura del verde e degli spazi pubblici, scuole, impianti sportivi, depurazione: sono queste le cose sulle quali, alla fine, si misura la differenza tra una buona e una cattiva amministrazione comunale. La manutenzione ordinaria, aggiunsi, è decisiva per due motivi: da un lato, consente di tenere in condizioni accettabili il territorio e di dare un’immagine decorosa della città, dall’altro permette di risparmiare evitando interventi straordinari a intervalli di tempo molto limitati.
Che cosa è successo invece in questi quattro anni, in che condizioni si trova Reggio in questo momento? Strade dissestate a un livello mai visto prima, non solo in periferia ma anche in pieno centro, con, ad esempio, la segnaletica orizzontale ridotta alle sole strisce blu per drenare soldi ai cittadini. Spazzatura e sporcizia dappertutto. Di depurazione manco a parlarne. L’acqua che manca per giorni interi in molte zone. La pubblica illuminazione carente o assente in interi quartieri. Gli spazi pubblici abbandonati all’incuria, anche la parte di via marina realizzata due decenni addietro. Gli impianti sportivi, invece, meritano un discorso a sé. A parte quelli regalati ai privati, e rinonimati a loro piacimento, dove i singoli reggini e le società sportive sono ammessi solo dietro pagamento di somme rilevanti, gli altri sono lasciati al loro destino, giacché al capo e al suo delegato interessa solo, non cogliendo l’importanza sociale delle piccole società, accompagnarsi col sorriso stampato in faccia ai dirigenti della Reggina. Il palloncino, o palestra Giulio Campagna, fulcro dell’attività sportiva pallavolistica, è utile per sottrarre centinaia di euro alle società, ma non merita nemmeno l’attenzione minima per garantirne la fruibilità al pubblico, costretto ad assistere alle tantissime partite da uno spazio di qualche metro appena. Molto spesso la responsabilità viene riversata sui dirigenti, bravissimi per definizione essendo stati assunti mediante pubblico concorso gestito da professionisti del settore, ai quali le varie e corpose indennità legate alla produttività vengono elargite, da amministratori succubi perché inadeguati e menefreghisti, senza battere ciglio. Ma è possibile che in una situazione del genere si possa affermare che gli obiettivi siano puntualmente raggiunti? Se l’obiettivo era quello di radere al suolo la città, sindaco, amministrazione, struttura burocratica, l’hanno certamente raggiunto e superato in scioltezza. E mentre non si trovano risorse per rendere agibile una struttura di vitale importanza, si reperiscono quelle, per centinaia di migliaia di euro, per illuminare a festa il Corso Garibaldi e per ingaggiare un cantante che nessuno, o quasi, vede. E sul fronte delle grandi opere? Sono ripartite quelle previste dal decreto Reggio o finanziate con fondi straordinari? Il palazzo di giustizia? I parcheggi? E si potrebbe continuare a lungo. E il Miramare? Dopo l’”affidamento”, il nulla.
Ora, se fino a qualche tempo fa si poteva parlare di inadeguatezza, di inesperienza, “combattuta”, quest’ultima, attingendo a piene mani dagli amici yes men e ritrovandosi con un gruppo di persone senza arte né parte a gestire una cosa complessa come il Comune di Reggio, oggi questa spiegazione non basta più, non rende adeguatamente l’idea. Queste persone, e le tante che hanno usufruito della trasformazione del Municipio e del dirimpettaio palazzo della provincia, o come si chiama adesso, in assumificio con graduatorie stilate per prendere in giro i fessi, se ne strafottono di Reggio. Non hanno pudore e non sentono la vergogna. Dopo aver fatto partire la Castore, per effettuare la manutenzione, l’hanno lasciata al suo destino, senza la necessaria dotazione finanziaria, tanto l’amico – sostenitore di turno è sistemato al comando col suo lauto compenso, ché è questa la cosa fondamentale. Una buona fetta di cittadini, imprese, esercizi commerciali, fa quello che gli pare, in completa anarchia: buca strade, sistema banchi e banchetti dove capita, tanto chi dovrebbe controllare non lo fa, e il Corpo dei vigili, senza guida da anni, passa il tempo a elevare contravvenzioni a qualche povero disgraziato in divieto di sosta.
Tanti anni fa, ancora in vita Italo, avevo la necessità di reperire il filmato di una edizione di telegiornale locale risalente al periodo precedente all’avvento della prima Giunta Falcomatà. Lui mi suggerì di fare questa ricerca tra le tante cassette che aveva a casa sua, e così feci. Ebbene, riuscii in pochissimo tempo a limitare il campo d’analisi: dai filmati era possibile riconoscere il periodo semplicemente dando un’occhiata allo stato della città, anche a velocità elevata. Sono certo che oggi succederebbe la stessa cosa. Reggio è purtroppo riconoscibilissima, come allora. E’ bastato neanche un lustro per farla tornare a quelle condizioni pietose, questo grazie a un gruppo pseudo dirigente il quale, iniziando dal suo condottiero, ha messo la propria non – opera al servizio dello sfascio, della catastrofe più totale. (foto d’archivio)
Nino Mallamaci