Fondò in Brasile le APAC, sperimentazione anche in Italia. «A Mario Ottoboni va il nostro grazie, per il suo impegno nelle carceri brasiliane e per l’ideazione di un metodo — quello delle carceri APAC — che è riconosciuto dall’Onu come migliore strumento rieducativo dei detenuti a livello mondiale. Siamo certi che dal cielo continuerà a lavorare a favore del popolo dei quasi 10 milioni di detenuti di tutto il mondo, perché possano vivere in luoghi di recupero sociale ed umano, piuttosto che di punizione o di vendetta». È questo il commento di Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, alla notizia della morte di Mario Ottoboni, fondatore nel 1972 delle Associazioni di Protezione e Assistenza dei Condannati (APAC). La loro sperimentazione in Brasile ha portato al riconoscimento istituzionale di quei luoghi di detenzione in cui le chiavi delle celle sono in mano agli stessi detenuti; le persone che vivono negli Apac, anche 150 – 200 in strutture prive di guardie carcerarie, sono impegnati in un cammino di rielaborazione dei reati commessi, in vista del reinserimento in società. «Negli Apac la recidiva (il numero di persone che tornano a commettere reati dopo il carcere) scende dall’80% delle carceri tradizionali al 10%. Nell’equivalente delle CEC (Comunità educanti con i carcerati), 7 in Italia e 2 in Camerun, affiliate alle APAC dal 2016, la nostra sperimentazione ha portato la recidiva al 15%. Vuol dire che all’uscita delle carceri tradizionali 8 persone su 10 tornano a delinquere, con pericolose conseguenze di sicurezza, ma che questo problema può essere risolto», spiega Ramonda. «Ottoboni è stato un maestro di redenzione; dopo un importante cammino di conversione ha chiesto ed ottenuto di andare a vivere nelle carceri brasiliane, condividendo la cella con gli altri detenuti. La sua forza è stata quella di aver saputo raccogliere attorno a sé un gruppo di volontari, giuristi e magistrati, che ha portato alla creazione delle APAC, modello che oggi è sperimentato in 23 paesi del mondo».