Riceviamo e pubblichiamo
Oggi tentiamo di fornire uno strumento di comprensione del fenomeno “Riace” e di spiegare non solo quello che viene fatto (o non fatto) a Riace ma, soprattutto, come viene fatto direttamente dalle persone (di ogni colore e nazionalità) che ne sono le principali e dirette protagoniste.
Riace segue alcuni paradigmi delle realtà locali vicine, con tutti i loro difetti (e i loro pregi): la chiusura, la diffidenza, la larvata impudicizia del bene comune, il senso di abbandono, la povertà.
E l’accoglienza. Perché i paesi della Calabria sono accoglienti, la gente è accogliente. Memore e affaticata da un (recente) passato di stenti e privazioni, di assistenzialismo coatto, di soprusi storici e di ignominiose vergogne ‘Ndranghetiste.
A pochi chilometri da Riace regnano fra le famiglie mafiose più potenti e pericolose.
Al bar, alcuni anziani giocano a carte osservando quasi con distacco, meno stupiti dell’arrivo dei visitatori di quanto potrebbe succedere nella gran parte degli altri paesi intorno, oscuramente diffidenti, per storia recente.
Riace è invece abituata ai visitatori: migliaia, da tutto il mondo, da anni, raggiungono il paesino jonico.
Una coppia di anziani coniugi si intrattiene, seduta davanti ad una barca a vela che solca un mare di onde piene di scritte e colori, con due bambini africani, che rispondono alle loro domande e si fanno fare le coccole.
La scuola è un edificio che ospita un numero cospicuo di ospiti stranieri, grandi e piccoli, in classi composite, variegate e multilingue, in un miscuglio di razze, dialetti, diademi e treccine.
In una stanza più grande giocano quattro bambini africani, piccoli, che guardano i visitatori con occhi sgranati. La stanza che serve oggi da asilo nido sarà presto sostituita da una struttura completamente nuova, ormai in fase di avanzata realizzazione.
La giovane, anch’essa di origine africana, che accompagna amorevolmente i piccoli, li segue nei loro spostamenti; al tempo del suo arrivo in Italia si prostituiva per sopravvivere.
Nelle classi, ai cui muri sono attaccati i manifesti elementari che spiegano i rudimenti della lingua italiana, troviamo persone del Gambia, del Mali, della Siria (una coppia di sposi non più giovanissimi e che portano ancora sul volto i segni della paura), del Pakistan, dell’Africa subsahariana. Giovani e meno giovani, adolescenti con il loro smartphone e bambini minuscoli attaccati alle loro madri, impegnate nello studio.
La pluriclasse, infine, è un tripudio di razze dietro i banchi della scuola. Due ragazzini di Riace scherzano e scambiano commenti ironici con i loro coetanei dell’Africa o del vicino Oriente, fino a radunarsi su invito della maestra per una foto di gruppo. Sono lì tutti insieme, in arrivo da tante parti del mondo, lontane fra loro.
Di fianco alla scuola fanno bella mostra due campi di pallavolo e calcetto, di cui uno sufficientemente grande da permettere partite all’ultimo respiro; sono occupati dalle facce degli alunni più grandi, pronti a sfidarsi nella lingua internazionale della palla al centro.
La scuola era chiusa per carenza di alunni. Adesso è di nuovo aperta e funziona. Le insegnanti lavorano e percepiscono il loro onorario.
Una scuola senza bambini è la conclusione ingloriosa di un mondo, un universo senza futuro.
Riace ha una scuola, degli insegnanti, dei ragazzi che apprendono.
I migranti ospitati a Riace non sono detenuti, hanno la libertà di muoversi all’interno del paese e, per ragioni banali (problemi di abitabilità contingente, visita a parenti, emergenze occasiona1i), sono liberi di spostarsi.
Le case di Riace superiore sono come Riace, piccole, a volte contorte, arrampicate su se stesse, avvoltolate come chiocciole su una spirale interna.
Riace è così: è un paese dell’entroterra della provincia reggina con tutti i suoi limiti (ed i suoi pregi). Non vi troviamo (non ce ne sono) ville con piscina, né sfarzose dimore nobiliari. Vi sono case vecchie ed umili, di origini umili, ma pulite, ordinate, venate della mescolanza di uomini e donne dì provenienza disparata e che portano in quelle case un piccolo tocco della terra natia.
L’ora di pranzo ci spinge a curiosare anche nelle cucine, dove scopriamo pentole con vari preparati, fra cui spicca il riso, il pollo cucinato in molti modi, le zuppe. In una bella casa con una splendida veranda (piena di sole, in quel momento) sulla quale i 4 ragazzi che la abitano hanno sistemato delle sdraio, troviamo, in una ampia e comoda cucina al pianterreno, un abile cuoco sahariano che sta preparando delle magnifiche pizze, una delle quali deve ancora essere infornata. Il tavolo, apparecchiato ordinatamente, vede già quattro bei piatti colmi di pizza fumante.
Gli ospiti delle case comprano gli alimenti con i loro “bonus”, utilizzabili in Riace e che, come tutti sanno, non hanno corso legale fuori da Riace…
Ma Riace è così, è un microcosmo strano e composito, che ha inventato un modo per accogliere e investire sul proprio futuro.
Scendiamo e risaliamo lungo i vicoli del paese e troviamo case nelle quali riconosciamo anche alcuni degli alunni della scuola, visti prima.
Tutti ci lasciano entrare per consentirci di guardare come vivono e cosa fanno.
Pur nella povertà dei mezzi, si scorge sempre una dignità nel modo di vivere e nel modo di affrontare la vita. Sono persone che cercano un riscatto, che hanno voglia di dimenticare il passato e che mantengono l’entusiasmo di poter ricominciare.
Riace è anche questo. E’ un paese che ha ricominciato a fare tante cose.
Risalendo, nei pressi della scuola, un bellissimo parco giochi invade la nostra visuale. Non se ne vedono molti così, nei paesi spogli e disadorni della provincia reggina
Passiamo davanti ad alcuni esercizi commerciali. Sono le famose botteghe artigiane di Riace dove si lavora il legno, il vetro, la lana, i tessuti e molte altre cose. In ognuna di queste troviamo un ragazzo {o una ragazza) di Riace ed almeno un o una migrante, tutti nelle rispettive uniformi di lavoro, intenti nelle loro attività quotidiane, frutto di un apprendimento paziente di mestieri antichi, di una bellezza mai spenta
I telai di un ‘altra bottega e le costruzioni di filato che vi si intrecciano dentro sono splendidi e si scorge chiaro in essi il volto dell’Africa.
Dentro un’altra stanza, ribassata rispetto al piano stradale, una signora lavora senza alzare la testa. Chiediamo notizie e ci dicono che la signora è in accoglienza da un po’ di tempo (parecchio tempo) … ma la figlia è ammalata di tumore ed è in ospedale. Lei viene mantenuta a Riace ed accompagnata regolarmente in Ospedale, quando possibile, per visitare la figlia.
Ora lo sguardo va verso un’ala esterna dell’abitato, che si affaccia d’improvviso su una bellissima insenatura verde, scavata nella collina di fianco, quasi un anfiteatro naturale in mezzo a costoni ripidi.
Più in basso, per una estensione di svariate decine di metri, sono stati
realizzati alcuni terrazzamenti ordinati, in cima ai quali si palesa una specie di aia, con degli asini al pascolo. Servono per la differenziata che viene fatta con il metodo della raccolta porta a porta (a dorso di mulo).
Su quelle terrazze sorgono ad intervalli differenziati delle piccole costruzioni vuote, con un ampio spazio di terra intorno. Il progetto prevede la concessione in uso ai migranti di tutte quelle casettine, nelle quali custodire i propri animali domestici e provvedere quindi alla coltivazione, da parte di ciascuno, di un orto, i cui frutti potranno approvvigionare le dispense con i prodotti della terra (casomai i bonus non dovessero bastare).
Riace è anche questo: l’inventiva legata alla tradizione, l’idea di recuperare spazi per lavorare la terra e sfamare i propri familiari con quello che la fatica delle mani riesce a realizzare.
Visitiamo altre due case, dove accertiamo la presenza dei legittimi occupanti e verifichiamo la funzionalità dell’abitazione ed il grado di soddisfazione degli stessi fruitori.
La frazione Marina differisce dalla sede storica Superiore per la chiara impronta urbanistica e per l’anonimato dei palazzi all’interno dei quali
alcuni appartamenti sono stati concessi in uso ai migranti.
Nell’appartamento al primo piano sappiamo esserci una famigliola con due bambini piccoli. La casa dove questi abitano, verifichiamo, è comunque accogliente e pulita e la cameretta del bimbo è colorata con i pastelli tenui e delicati che ogni stanza di bambino dovrebbe avere.
Le ragioni che hanno spinto a trasmettere uno spaccato della vita quotidiana in Riace, risiedono nella avvertita necessità di raccontare la storia dell’immigrazione del borgo divenuto famoso prima per i Bronzi e poi per l’impegno del Sindaco Lucano che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita.
Vive in una realtà ricostruita, che non appartiene alla storia del paese ma che ha realizzato mattone su mattone, con fatica ed impegno.
L’evolversi dell’esperienza ha comportato difficoltà ulteriori ed ha reso impossibile, presumibilmente, un controllo ferreo di tutte le attività svolte, il che ha contribuito ad evidenziare le pecche del sistema.
L’esperienza di Riace è importante per la Calabria e segno distintivo di quelle buone pratiche che possono far parlare bene di questa Regione.
Il Sindaco ha sempre fornito una importante collaborazione in occasione degli sbarchi degli ultimi tempi, assicurando l’ospitalità che molti altri Centri della provincia avevano prima denegato, ed intervenendo spesso con propri mediatori linguistico/culturali in situazioni critiche.
La circostanza che i pagamenti per il sistema Riace siano stati bloccati da circa un anno ha comportato difficoltà considerevoli per chi ancora oggi permette che lo stesso sistema possa proseguire.
Sarebbe perciò necessario corrispondere un acconto sul complessivo, nelle more delle verifiche e degli adeguamenti strutturali e gestionali verranno segnalati al Sindaco.
Ciò permetterà la prosecuzione di una esperienza che rappresenta un modello di accoglienza, studiato (come fenomeno) in molte parti del mondo.
UNA STRUTTURA DI RIACE MARINA
La struttura è costituita da un piano terra e da un piano fuori terra, entrambi dotati di ampio terrazzino, sul più basso dei quali alcuni migranti scambiavano palleggi con un pallone da calcio. Di fronte l’immobile è presente un ampio spazio libero, parzialmente occupato da un piccolo orto gestito da terzi.
Gli interni risultano ben distribuiti, ordinati e puliti.
Il locale cucina, pur non particolarmente ampio, risulta ben strutturato, pulito ed in grado di assolvere alle esigenze di tutti gli ospiti.
Il pranzo odierno è stato a base di riso, pollo e frutta (una teglia di riso al forno non era stata consumata ed una teglia di frutta già tagliata sarebbe servita anche per la cena).
Le stanze da letto appaiono ben curate ed i letti ben distribuiti nei vari locali, fatta eccezione per una stanza con quattro letti su espressa richiesta di quattro migranti tutti della medesima nazionalità e giunti in occasione dell’ultimo sbarco. In molte camere è presente un apparecchio televisivo e gran parte di queste sono anche dotate di bagno autonomo (in totale risultano presenti 10 bagni per tutto l’immobile) .
Vi sono anche camere con un unico letto matrimoniale ed un solo ospite.
Di particolare pregio la posizione che è a ridosso del mare, tenuto anche conto dell’approssimarsi della stagione estiva e dei due terrazzini ampiamente sfruttati dai ragazzi immigrati.
Per gli ospiti è stato messo a disposizione un telefono cellulare e nella struttura è presente un apparato wi – fi. E’ stata loro regalata una tuta sportiva ed ogni giorno vengono accompagnati a giocare al calcio. La mattina, invece, frequentano le lezioni presso la locale scuola. Il maresciallo della locale Stazione ha confermato le favorevoli impressioni sopra riportate.
IL C.A.S. DEL COMUNE DI RIACE.
Le strutture utilizzate, tenuto conto delle diverse tipologie,(case antiche, ex albergo e abitazioni più recenti) si presentano, complessivamente, in condizioni modeste. Tutte le strutture, al momento, risultano essere fomite dei servizi essenziali (luce, acqua), presentano servizi igienici funzionanti e sono dotate di stufe elettriche e/o a gas e ventilatori per le necessità degli immigrati ospitati.
Si è avuto modo di interloquire, per il tramite del mediatore linguistico, con molti ospiti delle strutture (singoli e famiglie) i quali hanno espresso giudizi lusinghieri nei confronti degli operatori delle Associazioni, sulla permanenza all’interno delle strutture e sui servizi loro erogati. Di contro, nelle giornate in cui sono state effettuate le ispezioni, i rappresentanti di tutte le Associazioni hanno lamentato il mancato pagamento delle prestazioni – oltre un anno di ritardo -. sottolineando che gli impegni economici sostenuti e da sostenere, stanno portando al collasso, dal punto di vista finanziario, le medesime Associazioni non consentendo, tra l’altro, di potere effettuare eventuali interventi manutentivi che si dovessero rendere necessari all’interno delle strutture.
P.S. Quanto avete letto finora non è stato scritto da me, né da un giornalista, né da un seguace di Mimmo Lucano. Il bel racconto, dai tratti quasi lirici, è tratto dalle relazioni stilate nel corso del 2017 da alcuni funzionari della Prefettura di Reggio Calabria, i quali hanno avuto il coraggio di dire le cose come stanno, mettendo da parte il linguaggio e il tono burocratici.
Questi documenti parlano da soli. Non c’è nulla da aggiungere, se non che il sindaco di Riace ha compiuto un altro miracolo, dopo quello di aver costruito una enclave di tolleranza, accoglienza, fratellanza, solidarietà, buona amministrazione, in controtendenza rispetto ai tempi in cui viviamo: il miracolo di rendere umana persino la burocrazia del Ministero dell’Interno, cui va il nostro plauso e il nostro ringraziamento.
Reggio Calabria, 22 maggio 2018
Nino Mallamaci