“Affari armati”. Metà degli introiti italiani arriva dall’Islam

Italian Terrorism Infiltration Index  2018

Vale 16 miliardi di euro il giro d’affari delle esportazioni italiane di armi nei Paesi islamici nell’ultimo triennio. Tra i materiali d’armamento anche oltre 200 mila agenti tossici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi per un giro d’affari di 29 milioni di euro. Lombardia e Lazio si confermano le aree a maggior rischio di potenziale infiltrazione terroristica. è quanto emerge dal report “Italian Terrorism Infiltration Index 2018” dell’Istituto Demoskopika. Ammonta a 15.905 milioni di euro il giro d’affari ottenuto dall’esportazione di armi nei paesi islamici nel periodo 2015-2017. Un business pari alla metà dell’intero export italiano nel settore bellico quantificabile in 32.034 milioni di euro. In altri termini, ogni 100 euro incassati dagli operatori del made in Italy, circa 50 euro provengono dal mondo islamico. Tra i clienti “più redditizi” figurano Qatar e Arabia Saudita, con una spesa di oltre 5,3 miliardi di euro, impegnati, il primo a guidare una coalizione militare nel conflitto in Yemen e il secondo, ritenuto, da alcune fonti internazionali, possibile finanziatore di gruppi jihadisti e terroristici.

Lombardia e Lazio, inoltre, si confermano, per il terzo anno consecutivo, le realtà territoriali più “esposte” al terrorismo, a cui si aggiunge il Piemonte, che si posiziona al terzo posto, secondo l’Italian Terrorism Infiltration Index 2018 ideato dall’Istituto Demoskopika che, oltre ad analizzare i dati più recenti del mercato delle esportazioni dei materiali d’armento, ha tracciato una mappa delle regioni più a rischio potenziale di infiltrazione terroristica sulla base di quattro indicatori ritenuti “sensibili”: le intercettazioni autorizzate, gli attentati avvenuti in territorio italiano, i visitatori nei musei italiani e gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi considerati la top five del terrore dall’Institute for Economics and Peace (lep) nello studio “Global Terrorism Index 2017”.

Export armi: i paesi islamici valgono ben 16 miliardi di euro. Dal 2015 al 2017, le aziende produttrici italiane hanno fornito armi ai Paesi islamici per 15.905 milioni di euro: si passa, dai 1.768 milioni di euro esportati nel 2015, ai 8.954 milioni del 2016 e ai 5.183 milioni di euro del 2017. Un volume d’affari pari al 49,6% dell’intero export italiano nel settore bellico quantificabile in 32.034 milioni di euro.

Il completamento della rilevazione dell’andamento bellico dell’export made in Italy evidenzia incassi per 877 milioni di euro nel 2013 e per 873 milioni di euro nel 2014. Tra le 28 aree individuate dallo studio in base alla percentuale dei mussulmani in rapporto alla popolazione totale di ciascuna singola realtà e alla religione prevalente, ben 9 figurano tra i primi 26 Paesi in cui è più forte l’impatto del terrorismo secondo il Global Terrorism Index 2017 realizzato dall’Institute for Economics and Peace.

Occhio agli acquirenti: svettano Kuwait, Qatar, Arabia Saudita e Turchia. Ogni 100 euro incassati dalle imprese italiane per la vendita e la fornitura di armamenti, circa 50 provengono dai Paesi battenti bandiera islamica. Tra i principali acquirenti ci sono Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Turchia e Singapore che hanno acquistato aerei, elicotteri, carri armati, navi, missili, siluri, agenti tossici e tecnologia versando nelle casse italiane ben 13.988 milioni di euro nell’arco temporale osservato.

Per quanto riguarda, nel dettaglio, il rifornimento delle armi, la cifra corrisposta all’Italia per l’acquisto di aerei, elicotteri, carri armati, navi, missili, tecnologia e altri armamenti è stata di 7.711 milioni di euro da parte del Kuwait, di 4.597 milioni di euro dal Qatar, di 736 milioni di euro dall’Arabia Saudita, e di 528 milioni di euro dalla Turchia. E, ancora, in ordine decrescente, tra gli acquirenti islamici risultano Singapore (416 milioni di euro), Emirati Arabi Uniti (393 milioni di euro), Pakistan (391 milioni di euro), Oman (226 milioni di euro), Algeria (221 milioni di euro), Bangladesh (166 milioni di euro), Indonesia (113 milioni di euro), Iraq (74 milioni di euro), Malesia (70 milioni di euro), Bahrein (59 milioni di euro), Egitto (52 milioni di euro), Turkmenistan (47 milioni di euro), Giordania (31 milioni di euro), Marocco (30 milioni di euro), Ciad (13 milioni di euro), Albania (12 milioni di euro), Tunisia (10 milioni di euro), Nigeria (9 milioni di euro), Afghanistan (614 mila euro), Kazakistan (442 mila euro), Brunei (200 mila euro), Guinea (97 mila euro), Burkina Faso (84 mila euro) e, infine, Mauritania (5 mila euro).

Il borsino degli armamenti: maggiori incassi da aerei, elicotteri e navi. Poco meno di 100 tra aerei ed elicotteri venduti, nell’ultimo triennio, all’intero mercato di esportazione mondiale di riferimento dell’Italia e non esclusivamente all’area islamica individuata, hanno generato introiti per 8.552 milioni di euro. A seguire, nello speciale borsino dei materiali d’armamento, compaiono le forniture di 16 navi da guerra con un giro d’affari pari a 4.178 milioni di euro oltre a 745 mila unità tra bombe, siluri, razzi, missili ed accessori per 2.054 milioni di euro. Segue la vendita di 418 mila armi automatiche e non, per 501 milioni di euro, poco meno di 3 mila veicoli terrestri per 431 milioni di euro, circa 207 mila agenti tossici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi per 29 milioni di euro e 3,4 mila software per 54 milioni di euro.

Infiltrazione terroristica: le più a rischio Lombardia, Lazio, Piemonte e Emilia Romagna. Sono quattro le regioni che si collocano nell’area definita ad “alto livello di potenziale infiltrazione terroristica” dai ricercatori di Demoskopika: Lombardia che con il massimo punteggio, pari a 10, si conferma, per il terzo anno consecutivo, in cima all’Italian Terrorism Infiltration Index 2018 distanziata di poco dal Lazio con 9,25 punti. Seguono nell’area “rossa” Piemonte (4,19 punti) che fa un balzo in avanti rispetto allo scorso anno e, infine, Emilia Romagna (4,10 punti) che, al contrario, cedendo il posto al Piemonte retrocede di una posizione. Quattro gli indicatori ritenuti “sensibili” da Demoskopika per tracciare la mappa delle regioni più a rischio potenziale di infiltrazione terroristica: le intercettazioni autorizzate, gli attentati avvenuti in territorio italiano estrapolati dal Global Terrorism Database dell’università del Maryland, gli stranieri residenti in Italia provenienti dai primi cinque paesi considerati la top five del terrore dall’Institute for Economics and Peace (lep) nello studio “Global Terrorism Index 2017” e il numero dei visitatori nei musei italiani. Per consentire una lettura più agevole, le regioni, in base al punteggio ottenuto, sono state raggruppate in quattro cluster con un livello differente di rischio: alto, medio, basso e molto basso.

Nell’area intermedia di potenziale infiltrazione terroristica si collocano altre cinque realtà regionali: Campania (3,53 punti), Toscana (3,15 punti), Veneto (2,33 punti), Trentino Alto Adige (1,79 punti) e Liguria (1,63 punti).

Le rimanenti realtà regionali, seppur con perfomance differenti, si sono posizionate nelle due aree che presentano un livello medio-basso di rischio potenziale di infiltrazione terroristica: Marche (1,32 punti), Sicilia (1,26 punti), Calabria (1,15 punti), Sardegna (0,90 punti), Friuli Venezia Giulia (0,83 punti). In coda, tra le meno a rischio si posizionano Puglia (0,73 punti), Umbria (0,54 punti), Abruzzo (0,27 punti), Molise (0,04 punti) e, infine, Basilicata (0,03 punti).

Intercettazioni: nell’ultimo anno picco storico per “scovare” i potenziali terroristi. Dal 2005 al 2016, il numero dei bersagli, come vengono chiamate in gergo le utenze controllate, autorizzato dalle procure italiane per indagini relative a reati di terrorismo internazionale e interno è stato complessivamente pari a 10.885. Si intensifica in modo rilevante l’attività di “ascolto” che, nell’ultimo anno, fa registrare il picco nell’arco temporale analizzato: 1.774 bersagli a fronte dei 1.120 bersagli del 2015 e dei 627 bersagli del 2014 con un incremento rispettivamente pari al 58,4% e al 182,9%.

A livello territoriale, le sezioni terrorismo delle procure operanti nei distretti giudiziari di Lombardia, Lazio e Campania sono risultate le più attive autorizzando complessivamente il 60% del totale delle intercettazioni italiane: 4.044 bersagli in Lombardia (37,2%), 1.351 utenze nel Lazio (12,4%) e 1.112 bersagli in Campania (10,2%).

A seguire la Liguria con 606 intercettazioni (5,6%), la Sardegna con 544 bersagli (5,0%), il Piemonte con 516 bersagli (4,7%), il Veneto con 467 bersagli (4,3%), il Trentino Alto Adige con 440 bersagli (4,0%), la Puglia con 331 bersagli (3,0%), il Friuli Venezia Giulia con 302 bersagli (2,8%), l’Emilia Romagna con 298 bersagli (2,7%), l’Umbria con 225 bersagli (2,1%) e l’Abruzzo con 224 bersagli (2,1%). In coda, sempre per numero di intercettazioni telefoniche, ambientali, telematiche ed informatiche si collocano i distretti giudiziari attivi in Toscana con 157 utenze (1,4%), in Sicilia con 134 utenze (1,2%), in Calabria con 76 utenze (0,7%), nelle Marche con 36 utenze (0,3%) e in Molise con 22 utenze (0,2%).

Radicamento: oltre 216 mila i residenti stranieri provenienti dalla top five del terrore. Sono oltre 206 mila gli stranieri residenti in Italia provenienti da Iraq, Afghanistan, Nigeria, Siria e Pakistan, paesi considerati la top five del terrore dall’Institute for Economics and Peace (lep) nello studio “Global Terrorism Index 2017”: i pachistani rilevati sono 108.204 pari 50,0% del dato complessivo. Rilevante anche la comunità dei nigeriani che, nel 2017, ha toccato quota 88.533 residenti, pari al 40,9% dell’universo monitorato. Meno significativa in termini demografici, senza alcun dubbio, la presenza degli afghani con 11.224 residenti (5,2%), dei siriani con 4.992 persone residenti in Italia (2,3%) e, infine, degli iracheni con 3.540 soggetti pari all’1,6%.

L’analisi per regione, evidenzia che le comunità di iracheni più numerose si sono insediate nel Lazio (797 individui), in Calabria (608 individui), in Puglia (470 individui) e in Trentino Alto Adige (414 individui). I pachistani sono maggiormente presenti in Lombardia (37.771 individui), in Emilia Romagna (21.199 individui), in Toscana (6.408 individui) e in Campania (6.170 individui). L’analisi demografica fa emergere, inoltre, che la maggiore presenza di nigeriani si registra in Veneto con 13.198 residenti, in Emilia Romagna (12.606 individui), in Lombardia (11.396 individui) e in Piemonte (10.150 individui). E, ancora, la comunità siriana è maggiormente presente in Lombardia (1.914 individui), nel Lazio (981 individui) mentre gli afghani, infine, hanno scelto come regioni prioritarie dove risiedere il Lazio (2.618 individui), la Calabria (1.063 individui) e la Puglia (1.015 individui).

Attacchi terroristici: 68 eventi in Italia dal 2005. Sono 68 gli attacchi terroristici avvenuti in Italia negli ultimi undici anni, inclusi nel Global Terrorism Database secondo tre criteri ben precisi: l’atto terroristico persegue un obiettivo politico, economico, religioso o sociale; al di là delle vittime dirette dell’attentato, gli autori dell’attacco devono avere l’obiettivo di raggiungere con il loro gesto una platea più ampia di destinatari dell’intimidazione; e, infine, l’azione deve essere classificabile al di fuori delle tradizionali attività di guerra.

Dall’analisi dell’Istituto Demoskopika emerge che, a livello territoriale, la regione che ha subìto il maggior numero di attacchi terroristici nell’arco temporale considerato è stato il Lazio con 15 episodi pari ad oltre il 22,1% del totale, la Lombardia con 12 eventi (17,6%) e il Piemonte con 10 eventi (14,7%). Seguono l’Emilia Romagna con 6 episodi terroristici monitorati (8,8%), la Toscana con 5 episodi (7,4%), Liguria con 4 episodi (5,9%), Calabria, Veneto e Marche con 3 episodi per ciascuna realtà territoriale (4,1%), Campania e Trentino Alto Adige con 2 eventi “a testa” (2,9%) e, infine Sardegna, Friuli Venezia Giulia e Umbria con un episodio rilevato dal Global Terrorism Database in ciascuna area (1,5%).

“Cultura controllata”: oltre 59 milioni di visitatori nei musei italiani nel 2017. Sono stati oltre 59 milioni i visitatori dei musei e dei principali attrattori culturali italiani nel 2017. L’attacco terroristico ad un bene culturale produce alcuni benefici immediati per chi li commette. Da un lato, si colpisce l’identità culturale di un popolo distruggendo i simboli in cui si riconosce e, dall’altro, si ottengono migliaia di vittime in un “colpo solo”. In questa direzione, l’Italian Terrorism Infiltration Index 2018 analizza anche i dati relativi ai flussi di milioni di persone nei luoghi culturali italiani ritenuti sensibili ai fini della ricerca.

A livello territoriale, in particolare, il flusso maggiore di visitatori ha subìto maggiormente il fascino dell’offerta culturale del Lazio che ha superato la soglia dei 23 milioni di visitatori, della Campania con poco meno di 9 milioni di visitatori e della Toscana con oltre 7 milioni di visitatori. A seguire, con una presenza rilevante di “fruitori” dell’offerta culturale, la Sicilia (5 milioni di visitatori), il Trentino Alto Adige (3,4 milioni di visitatori), il Piemonte (2,6 milioni di visitatori), la Lombardia (2,6 milioni di visitatori), il Friuli Venezia Giulia (1,4 milioni di visitatori), l’Emilia Romagna (1,1 milioni di visitatori) e il Veneto (1,1 milioni di visitatori). E, ancora, la Puglia (750 mila visitatori), la Sardegna (556 mila visitatori), la Valle d’Aosta (504 mila visitatori), le Marche (497 mila visitatori), la Calabria (489 mila visitatori), la Liguria (257 mila visitatori), la Basilicata (250 mila visitatori), l’Umbria (248 mila visitatori), l’Abruzzo (123 mila visitatori) e, infine, il Molise (79 mila visitatori).

Un livello di attenzione dell’offerta culturale – si legge nello studio di Demoskopika – sicuramente “condizionato” dalla presenza di attrattori culturali a forte impatto e, quindi, molto attenzionati dalle forze dell’ordine perché a rischio di attentati da parte di gruppi terroristici. Non è un caso, che nella top ten dei musei italiani siano presenti attrattori del Lazio con il Colosseo (7 milioni di visitatori) e Castel Sant’Angelo (1,2 milioni di visitatori), della Campania con il parco archeologico di Pompei (3,4 milioni di visitatori) e la Reggia di Caserta (839 mila visitatori). E, ancora, sono ben tre i siti culturali toscani presenti tra i primi dieci secondo la graduatoria del ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo: gli Uffizi (2,2 milioni di visitatori), la Galleria dell’Accademia di Firenze (1,6 milioni di visitatori), il Giardino di Boboli (1 milione di visitatori) e Palazzo Pitti (580 mila visitatori). E, infine, tra i luoghi culturali più visitati nel 2017 si collocano anche due attrattori piemontesi: la reggia di Venaria Reale (1 milione di visitatori) e il Museo Egizio di Torino (845 mila visitatori).

fonte  —  www.demoskopika.eu

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