L’ardua impresa della società nel far ritrovare l’essenza della vita quando siamo difronte chi invece pensa di averla ormai persa

“A volte dobbiamo perdere le cose per capire l’importanza che rivestono.” E’ da questa semplice apparente banale frase ritrovatomi sotto gli occhi di una celebre, scrittrice qual è Susanna Tamaro, che prende forma scritta questo mio pensiero riportandolo così in lettere e consonanti nella sana “presunzione” di far passare le sensazioni che possono esplodere in termini di vita vissuta a fronte di un’improvvisa “entrata” in scena di una malattia Ematologica in una famiglia che a quel punto, non ha più nessuna stupida ragione sociale, ma che si ritrova improvvisamente alla pari di tante altre, immersa in un dramma trovandosi come fossero catapultati dentro una stanza nella quale si spegne la luce come per incanto, e si comincia a brancolare nel buio cercando disperatamente una via d’uscita che riporti tutto a com’era prima del Black Aut. Sì perché secondo me, quest’esperienza assomiglia metaforicamente proprio a un oscuramento totale di ciò che si viveva appena un attimo prima dell’evento che può piombare addosso a qualsiasi persona che ci circonda nella vita. Una diagnosi di cancro coglie tutti di sorpresa modificando improvvisamente i ruoli che si ricoprono in famiglia, con gli amici e soprattutto col mondo che ci circonda nel suo potere di rompere quei presunti equilibri che ognuno di noi ha l’illusione di essersi creato in questa sfaldata società, facendo scattare da subito un iniziale forte disorientamento da parte di chi è colpito da questa infermità e nella sua famiglia, che subisce, cercando spesso lui stesso come prima risposta emotiva, di proteggerla dopo aver “metabolizzato” quello che è solo l’inizio di un cammino che deve poter fare nell’assoluta certezza di avere intorno a lui un apparato sanitario e sociale che deve oggi crescere per dargli ancora maggiore forza che può venirgli solo da quella sicurezza, di non essere abbandonato in solitudine con le proprie forze. Se è vero come credo e continuo a scrivere, che ogni individuo è unico, non esistono frasi di conforto che vanno bene in assoluto, perché scatta immediatamente nei pazienti affetti da malattie Oncoematologiche, una sorta di senso d’inadeguatezza che è la prima fase da affrontare di un lungo cammino in la società che ha il dovere di accompagnare servendosi di professionisti della sanità forti delle giuste competenze, perché noi tutti e le nostre strutture sanitarie organizzate devono farsi trovare preparati trattandosi appunto di particolari pazienti nei quali l’aspetto emozionale e psicologico richiede da parte di chi ha il dovere e l’obbligo di occuparsene, un alto grado di preparazione professionale per dar loro un adeguato sostegno. Non siamo e non dobbiamo mai essere quelli che sono lì per “dire qualcosa per tirarlo su” cercando frasi di conforto morale, ma piuttosto prendendo coscienza di quello che il malato esprime, anche se può essere duro o emotivamente pesante. Nella mia personale esperienza di chi lavora come me in ambito sanitario, ritengo utile riportare per dar voce “vera” e provata di quanto scrivo, vivendo le miei giornate appunto vicino a questi “particolari” ammalati. Noto che questi sono il più delle volte disorientati da un sistema sanitario che non si attiva in modo immediato, negano perfino a se stessi prima, e agli altri dopo, il loro essersi ammalati, sottoponendo il loro corpo a stupide farse, come girare con qualche pastiglia nelle tasche dei pantaloni come fosse una caramella da prendere al momento più opportuno, e poi però vedendoli inesorabilmente chiudersi in casa come volersi negare alla vita, credendo che ormai questa per loro è finita ma leggendo nei loro occhi la speranza di chi aspetta qualcuno che si accorga di lui venendogli incontro per salvarlo. Questo descritto è al fine di capire che la società oggi il dovere di mettere al loro servizio professionalità che siano in grado di trasmettergli anche cosa significa l’essenzialità della vita, rilevandogli la sua parte migliore, stando con competenza vicini a loro dal punto di vista psicologico per potergli far capire quanta forza tutto questo sia in grado, di dargli in termini di forza interiore, che secondo me, è la più efficace della terapia o per dirla in modo diverso, fa più ”forte” ogni tipo di trattamento farmacologico cui questi soggetti si dovranno sottoporre nel corso del loro lungo e tortuoso cammino. La loro nuova vita fatta di ospedali, trasfusioni, pastiglie, dolori è il campo di battaglia su cui ogni società con le preposte figure in ambito sanitario, deve essere presente, lì vicino al “fuoco” e preparati a qualsiasi lotta che, un ammalato di Cancro dovrà appunto affrontare. Questo è solo un mio excursus psicologico trascritto di getto perché vissuto mio quotidiano nello svolgere la mia attività lavorativa e il motivo principale per cui sono felice di lavorare a sostegno di queste persone che hanno sete e bisogno di credere che in quel momento, noi come società siamo presenti per sostenerlo facendogli capire che la speranza esiste ed è reale solo quando condivisa. Credetemi che solo così nella testa e nei pensieri di questi pazienti, scatta quella mossa che a volte fa’ “scacco matto” a quell’ignoranza, poco intelligente e quindi priva d’amore, che sta diventando purtroppo oggi la nostra società nel suo non dare giusta attenzione a queste persone nel viversi il loro dramma nel quotidiano, immersi in un ambiente sociale che secondo me è il vero e forse, irrimediabilmente, “l’ammalato” per eccellenza di una nuova moderna e sconcertante “Neoplasia” che a ragion veduta, è l’unica patologia oggi forse veramente priva di qualsiasi speranza di poter essere guarita.

Gattuso Maurizio Domenico

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