Con la firma della preintesa per il comparto sanità si chiude il cerchio dei rinnovi contrattuali dei lavoratori dei servizi pubblici, bloccati dal 2009, e con questi si riapre la partita del confronto per innovare e rinnovare attraverso il CCNL la Pubblica Amministrazione, ridando voce ai lavoratori ed alle loro rappresentanze per riconquistare diritti e condizioni di miglior favore per i dipendenti e migliori servizi per i cittadini. Con i rinnovi contrattuali, si restituisce la possibilità di intervenire nei processi organizzativi, si supera la legge Brunetta che tanto ha inciso nelle procedure di valutazione e progressione professionale dei lavoratori pubblici, si forniscono strumenti innovativi in ogni contratto che hanno il compito di avviare processi di confronto paritetico per la valorizzazione professionale di ogni categoria riformando gli ordinamenti di classificazione. Certamente permangono margini migliorativi che dovranno essere colmati nel prossimo CCNL 2019/2021 e la decorrenza del rinnovo 2016/2018 conferisce la possibilità di riaprire a breve il confronto sul prossimo rinnovo. La divisione sulla preintesa del Contratto del comparto Sanità che interessa circa 600.000 lavoratrici e lavoratori che oppone alle sigle confederali firmatarie le sigle autonome e corporative non firmatarie non si giustifica, anche perché sviluppa la sua contestazione solo al tavolo di confronto con l’Aran nelle ultime 30 ore di trattativa nostop, cioè durante una maratona in cui si è lavorato per superare le condizioni critiche proposte dalla controparte, ottenendo garanzie sull’aumento del riparto del fondo sanitario dal primo gennaio del 2019 con un incremento di 1 miliardo di euro. Infatti, è bene rammentare la scarsità di risorse messe a disposizione per il rinnovo contrattuale i cui fondi gravano sul finanziamento del SSN che, com’è noto, in legge di bilancio ha subito l’ennesima contrazione. Chi ha scelto di non sottoscrivere la preintesa non ha mai affiancato nei 9 anni di blocco la FP CGIL, spesso da sola, nelle svariate mobilitazioni e manifestazioni fino agli scioperi regionali della primavera del 2016 che hanno dato il via al confronto col governo fino all’accordo del novembre 2016 in cui, finalmente, lo stanziamento di 85 euro medi a regime dal 2018 per il rinnovo contrattuale in tutti i comparti, con la sterilizzazione degli 80 euro del bonus che vengono mantenuti, supera gli stanziamenti irrisori ed insufficienti stanziati nelle leggi di bilancio degli anni precedenti. Sappiamo bene che gli aumenti previsti non sono risarcitori di 9 anni di blocco, sappiamo bene che non sono sufficienti a soddisfare le aspettative di miglioramento retributivo ma quale sarebbe stata l’alternativa? Lasciare in vita il blocco ed aspettare di rinnovare i contratti con il futuro governo sul quale pesano molte incognite e ripartire da zero provando a sottoscrivere un altro accordo? Troppo rischioso, troppo incerto. Con il rinnovo contrattuale, invece, abbiamo avviato un percorso, abbiamo conseguito i primi obiettivi che oltre agli arretrati per il 2016/17, tra i 400/500 euro, prevedono aumenti retributivi fino a 95 euro mensili. Non solo, finalmente, ripartirà la contrattazione decentrata. Inoltre, si è concretizzato un aumento dei diritti con un avanzamento complessivo di permessi, congedi, ferie, malattia anche per le donne vittime di violenza e per i dipendenti colpiti da gravi patologie. Sono previsti, per il SSN, 91 euro pro-capite per incrementare i fondi della produttività e rivalutare le indennità a seguito della contrattazione integrativa, così come sono stati inseriti nel contratto nazionale i tempi di vestizione e di passaggio di consegne che possono essere ulteriormente contrattati e aumentati in sede di contrattazione decentrata e diventano esigibili. Si innova il contratto inserendo un livello di confronto prima inesistente, cioè quello con il governo regionale su assunzioni, formazione, risorse aggiuntive e riorganizzazioni e, si sa, quanto in Calabria questo sia mancato e sia invece necessario. Ancora nella preintesa si inserisce il divieto alle deroghe sul riposo e viene rispettato l’orario di lavoro; viene potenziata la contrattazione decentrata conferendo un ruolo più incisivo alla RSU; si semplificano i Fondi per la contrattazione; si inserisce un nuovo sistema di incarichi di coordinamento, organizzativi, professionali e di formazione per valorizzare quelli esistenti e offrire nuove opportunità e si istituisce, fin da subito, una commissione paritetica che entro il mese di luglio dovrà redigere un nuovo sistema di classificazione; infine, viene escluso il Jobs act a partire dal mantenimento dell’art.18. Insomma un avanzamento delle condizioni di lavoro e di quelle retributive che, dopo quasi 10 anni, avvia un percorso di miglioramento invece che mantenere un blocco e condizioni attualmente ormai insostenibili. Gli attacchi all’ipotesi sottoscritta elevatisi nelle ultime ore da parte dei sindacati autonomi di categoria, indirizzati ai firmatari e stranamente non ai componenti della controparte, Governo e Regioni, non contestualizzano la necessità della sottoscrizione, non riconoscono gli avanzamenti della contrattazione anche di quella decentrata, e strumentalmente finalizzano l’attacco alla competizione elettorale del rinnovo delle RSU previste in Aprile. Immaginiamo, però, che la mancata sottoscrizione sarà rivista subito dopo le elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie senza coerenza, perché altrimenti queste sigle resterebbero escluse dai tavoli di contrattazione decentrata e dal confronto in commissione paritetica nazionale sulla valorizzazione professionale. La FPCGIL, dopo la consultazione e la sottoscrizione definitiva, invece, avvierà la contrattazione decentrata e vigilerà per l’esigibilità di questo Contratto che non è punto di arrivo ma punto di partenza per migliorare la condizione delle persone.
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