La Turchia contro i Curdi siriani: storia di un drammatico conflitto

Afrin, è una città della Siria nord-occidentale dominata dalle Unità curde di protezione popolare (Ypg) che, dopo l’avvio delle operazioni militari turche,  apre nuovi scenari  nella guerra siriana. Il 20 gennaio, la Turchia proprio ad Afrin ha dato inizio all’operazione militare denominata “Ramo d’ulivo” che si inserisce nel quadro dei tentativi turchi di ostacolare l’espansione delle forze curde siriane  ed evitare la creazione di uno stato indipendente curdo entro il suo confine meridionale.

 La questione curda

L’evoluzione della cosiddetta questione curda in Medio Oriente rimane influenzata da un insieme di fattori esterni e interni alle stesse aree curde, che rappresentano interessi spesso in aperto contrasto tra loro. La guerra siriana ha favorito l’ascesa politica dei curdi nel nord del paese e ha fornito la possibilità alle forze curde di dare una continuità territoriale alle aree poste sotto il loro controllo. Sul piano internazionale ciò è ostacolato dalla Turchia  che tenta di prevenire la cristallizzazione della situazione attuale, continuando a rappresentare il principale ostacolo all’obiettivo curdo.  L’attuale intervento militare turco è da inquadrarsi nel ribaltamento delle relazioni diplomatiche, che ha visto un netto riavvicinamento tra Mosca e Ankara e il deterioramento costante nei rapporti tra Ankara e Washington. Dal 2016 la Turchia si è infatti impegnata a migliorare le relazioni con la Russia, anche attraverso la partecipazione nel 2017 ai negoziati di Astana che hanno portato agli accordi sulle aree di de-escalation militare. I rinnovati rapporti tra Russia e Ankara e, indirettamente tra Ankara e Damasco fanno da background alle due grandi operazioni militari lanciate in questi giorni: da una parte, l’offensiva del regime di Assad (sostenuto da forze russe e iraniane) nel nordovest della Siria, ancora in mano ai ribelli di Idlib dopo la sconfitta dell’Isis e, dall’altra, l’offensiva turca su Afrin . Questi sviluppi vanno letti soprattutto all’interno dell’attuale contesto mediorientale, che vedrebbe la Turchia sempre più vicina a Iran, Siria e Russia e perciò contrapposta a Stati Uniti, Israele e ai paesi del Golfo. È però anche importante sottolineare come le dinamiche tra i tre attori di Astana: Russia, Turchia e Iran e, il regime di Assad, possano ancora riservare sorprese. Sia il regime di Assad, sia Teheran non sembrano particolarmente concordi a lasciare che i ribelli filo-turchi allarghino il territorio sotto il loro controllo. Le autorità curde di Afrin avrebbero infatti raccontato di come la Russia, per conto di Assad, alla vigilia dell’offensiva abbia offerto al PYD di fermare le operazioni turche in cambio della consegna di Afrin direttamente alla Siria. Tale offerta potrebbe rimanere sul tavolo anche nei prossimi giorni, mentre l’offensiva turca è ancora in fase di avanzamento. Ciò permetterebbe infatti ad Assad di prendere due piccioni con una fava: completare l’offensiva su Idlib e contemporaneamente bloccare l’avanzata dei ribelli filo-turchi su Afrin, di fatto bloccandoli nella piccola fascia di Azaz, Jarablos e Al-Bab attualmente in loro possesso. Comunque vadano le cose, l’attuale situazione apre  per Assad nuove prospettive rispetto alla riconquista di altre aree del paese. Una volta portata a termine l’offensiva di Idlib – nel nord ovest- l’esercito siriano e i suoi alleati avrebbero mani libere per occuparsi finalmente del fronte Sud, dove i ribelli controllano ancora alcuni territori al confine con la Giordania. Infine, la decisione turca costringerebbe gli Stati Uniti a prendere una posizione più netta per quanto riguarda la politica americana in Siria. Da una parte, Washington, rimasta ora l’unico alleato internazionale del PYD, potrebbe decidere di continuare a puntare sul rafforzamento delle Forze Democratiche Siriane, in maggioranza formate dalle milizie curde.  L’obiettivo di Washington diverrebbe perciò il rafforzamento della propria influenza nell’est del paese, privando Assad del controllo di vaste parti di territorio essenziali per gli approvvigionamenti alimentari e petroliferi. Ancora una volta, tale scelta andrebbe letta all’interno dell’ottica di contrapposizione a Mosca e, in particolare, all’Iran. Controllare l’est della Siria, significa, infatti, aggravare la dipendenza di Damasco da Mosca e, soprattutto, chiudere il corridoio diretto che, negli obiettivi iraniani, dovrebbe portare dall’Iran al Libano attraverso Iraq e Siria. Con l’attacco di Afrin, la Turchia punta invece a convincere gli Stati Uniti ad abbandonare i curdi, rimasti un alleato fortemente isolato nel contesto regionale e forse non più in grado di soddisfare gli interessi americani. Una tale decisione lascerebbe il via libera per Turchia, Siria e Iran di agire contro il comune nemico curdo anche nel nord-ovest siriano.

La situazione attuale

Intanto al momento la situazione appare veramente drammatica. Se Erdogan è rigido nelle sue posizioni,pronto a schierare i carri armati e iniziare l’attacco finale dell’enclave curda, Assad non retrocede di un millimetro. Sicuro della vittoria finale, il controverso presidente siriano è deciso a riappropriarsi del territorio a cominciare dalla zona del Goutha, sita alla periferia di Damasco ancora controllata dai ribelli siriani contro cui domenica il regime ha lanciato un’offensiva durissima. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i bombardamenti a tappeto avrebbero causato la morte di 98 civili, tra cui 20 bambini e 14 donne. Un bilancio destinato a salire considerando che i feriti sono quasi 500, di cui molti in gravi condizioni. Intanto il presidente russo Vladimir Putin ha riunito il Consiglio di sicurezza per discutere degli sviluppi ad Afrin: lo rende noto il Cremlino, precisando che i partecipanti hanno anche discusso dell’Ucraina.

MS

 

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