Mafia nigeriana: la più pervasiva in Africa, la più pericolosa in Europa

La mafia nigeriana fa paura. È mafia come la intendiamo noi. Che nasce nelle Confraternite universitarie in Nigeria, che trova appoggi inaspettati nelle ambasciate e nei consolati sparsi in Europa. Che ricatta interi villaggi, promettendo benessere e ricchezza ai suoi figli. Ed un lavoro in Europa, in cambio di 25.000/30.000 euro. E che costringe gli affiliati a un patto che non possono non onorare: un patto scritto con riti voodoo. Tra le strutture criminali di matrice africana, quella nigeriana, è considerata tra le più pervasive. La mafia nigeriana è un’organizzazione di tipo mafioso sviluppatasi in Nigeria agli inizi degli anni ottanta, in seguito alla crisi del petrolio, che portò i gruppi dirigenti a cercare l’appoggio della criminalità pur di mantenere i loro privilegi. Essa appare formata da diverse cellule criminali indipendenti e con strutture operative differenziate ma interconnesse, dislocate in Italia e in altri Paesi europei ed extraeuropei (Germania, Spagna, Portogallo, Belgio, Romania, Inghilterra, Austria,Stati Uniti, Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca,Ungheria, Ucraina, Polonia, Russia, Brasile e Italia). Le cellule criminali più strutturate si accompagnano a cellule autonome che, diversamente dalle prime, nascono in corrispondenza di un singolo affare criminale e si sciolgono al termine di quest’ultimo. Le recenti attività investigative condotte dalle Forze di polizia evidenziano come le consorterie in questione abbiano assunto la conformazione di vere e proprie associazioni per delinquere, utilizzando modus operandi tipici delle mafie autoctone, tra i quali emerge la forte propensione ad operare su business di portata transnazionale. Particolare attenzione va riservata al gruppo dei “BLACK AXE”, nato nel 1977, come confraternita universitaria poi divenuta associazione a delinquere caratterizzata da un alto impiego di violenza. Il suo simbolo, da cui prende il nome, è un’ascia nera, che sta ad indicare l’opposizione alla dominazione europea. Black Axe ha carattere di cooptazione per cui i membri dell’associazione sono reclutati dalla stessa, non potendo i suoi adepti decidere di entrarvi, né  rifiutarsi di accedere o di uscire. Si caratterizza per un feroce uso della violenza utilizzata come metodo intimidatorio e l’uso di ritualità magiche, essendo la simbologia un elemento fondamentale dell’organizzazione. Il gruppo criminale è strutturato in vari ruoli e cariche istituzionali. Black Axe è nota soprattutto per essere attiva nella commissione di gravi delitti come il traffico internazionale di stupefacenti, la tratta di esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione, in opposizione ad altri gruppi rivali operanti nell’ambito della comunità nigeriana. Tra quest’ultimi si segnalano i “BLACK CATS” (che avrebbero come simbolo distintivo un gatto nero con un basco militare tatuato sulla spalla), presenti in varie zone d’Italia, ma particolarmente attivi nell’area di Casal di Principe, Aversa e Padova, le cui fonti di sostentamento deriverebbero dal traffico di grossi quantitativi di droga e dallo sfruttamento della prostituzione. Ma deriverebbero anche grazie ai proventi delittuosi, ad attività commerciali apparentemente lecite, come bar, supermarket per africani,  connection house, imprese di importexport attraverso le quali introducono dall’Africa droga ed altri beni. Nel contesto italiano, la comunità nigeriana avrebbe acquisito una posizione competitiva in molti settori illegali, tra cui il “mercato” della prostituzione e quello della manodopera irregolare impiegata nella raccolta di pomodori, di frutta e nella pastorizia. Nonostante in queste aree sia pregnante il controllo della criminalità organizzata autoctona, i sodalizi nigeriani riuscirebbero a convivere bene con i clan locali, mantenendo la cogestione di diverse attività commerciali e piazze di spaccio. Sul piano dell’organizzazione interna, tali sodalizi criminali farebbero spesso ricorso alla figura della “maman” che, come emerso da diverse attività d’indagine, è risultata allo stesso tempo reclutatrice, organizzatrice, sfruttatrice, capo di unità operative, punto di raccordo fra i diversi strati dell’organizzazione, cassiera ed investitrice dei proventi delle attività illecite anche all’ estero. Si tratta di un modello organizzativo spesso funzionale alla tratta degli esseri umani, che ha il suo principale bacino di reclutamento nello Stato di Edo, intorno alla capitale di Benin City. In tale località sarebbero presenti articolate strutture operative e logistiche, in grado di organizzare il trasporto delle vittime fino al loro sfruttamento. Il settore del trafficking risulta, inoltre, strettamente connesso con quello degli stupefacenti, la criminalità nigeriana sembra utilizzare opportunisticamente gli stessi canali e le medesime strutture per porre in essere diversi “servizi” criminali, operando, ormai da tempo, come fornitrice, mediatrice ed organizzatrice soprattutto dei traffici di droga in molti Paesi europei ed extraeuropei. Numerose le operazioni di polizia e anche le condanne emesse nei confronti di esponenti della mafia nigeriana con accuse, a vario titolo, di traffico internazionale, detenzione e spaccio di stupefacenti, violenze, minacce, lesioni, rapine, estorsioni ai danni di connazionali, reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione. Nella primavera del 2016, la Direzione Distrettuale Antimafia di Catania aveva fermato diversi nigeriani con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di giovani connazionali, anche minori. L’organizzione, con basi operative a Catania,  Genova e  Roma, era diretta e promossa da una Maman nigeriana, Madame Jennifer, che curava direttamente i rapporti con i complici, in Nigeria e in Libia, seguendo il tragitto delle vittime attraverso l’Africa fino alle coste libiche e provvedendo a fornire il denaro necessario per concludere il viaggio verso l’Italia. Forse, putroppo, tra le città ostaggio della mafia nigeriana c’è anche Macerata; qui una ragazza fragile come Pamela Mastropietro, ha incrociato i suoi carnefici nigeriani, qui Pamela è stata tagliata a pezzi con modalità tipiche della tradizione tribale nigeriana. Un’aggressività che «la mafia nigeriana esercita abitualmente nella gestione dei suoi affari con efferate forme di militarizzazione».

Fonte: Relazione semestrale trasmessa dalla Dia alle Camere – a.2016

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