I miei pensieri migliori sono spesso frutto di un’attenta riflessione che questa settimana parte dal aver aperto un libro e letto una datata riflessione di Edward Lear sulla mia città, Reggio Calabria di cui scrive vedendola “un grande giardino, uno dei luoghi più belli che si possano trovare sulla terra”. E’ da qui che parte forte e ricco di sentimento il mio riflettere su cosa e come siamo arrivati ai giorni d’oggi a fare di Reggio quello che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi. Se è vero che la politica influenza e indica la via da seguire di ogni civiltà civile e moderna che si rispetta, devo scrivere per forza e con particolare dispiacere, che da troppo tempo Reggio Calabria è ormai ferma e ostaggio del conservatorismo dei suoi attuali gruppi dominanti. Questo è il nodo politico centrale che nessuno dei responsabili sarebbe disposto ad ammettere ma soprattutto ad affrontare, anzi guai a chi fa notare le vistose crepe di questo mostruoso edificio del potere costruito intorno alla città del più bel chilometro d’Italia. Una città ormai da un po’ di tempo che è ferma, per modo di dire, ma che in realtà, va pericolosamente indietro allontanandosi sempre di più dagli standard raggiunti da altre città non solo del centro nord. Sì, perché nelle sue dinamiche economiche e sociali la vediamo spesso precipitate al fondo di tutte le classifiche statistiche, senza che succeda nulla in un’assurda mancanza di percezione, di reazione, di opposizione che è classica di un popolo ormai rassegnato. I giovani Reggini invece di reagire se ne vanno dolenti e rassegnati in cerca di un lavoro degno, di luoghi di studio e di cura più idonei ai loro bisogni, lasciando la nostra comunità locale ai figli dell’illegalità, della raccomandazione, del clientelismo deteriore. Oggi quello che Charles Didier descriveva come “il paradiso della Calabria” osservando questo nostro amato pezzo d’Italia, sembra appunto fatta per loro. Il processo di degenerazione di questa nostra città sta portando al pettine ormai tutti i nodi irrisolti o rinviati, toccando quel limite estremo oltre il quale il sistema può esplodere. Questo mio scrivere mi domando se è semplice pessimismo o il reale specchio della realtà? Ogni Reggino può farsene un’idea da se, basta solo semplicemente guardarsi intorno e cominciare a vedere in quale stato chi la governa a fatto cadere la politica locale ormai morta per quello che esprime in termini d’idee e progetti che dovrebbero indicare la direzione futura che deve prendere la ormai Città Metropolitana. Mi duole rilevarlo, ma questa è la sensazione più diffusa che percepisco fra la gente che vive un clima pesante che dovrebbe portare gli “strateghi” che la stanno amministrando, ad un attenta riflessione incominciando a rispondere delle loro azioni all’opinione pubblica che pone in questi ultimi tempi tanti interrogativi senza risposta. Credo che anche stavolta la risposta sarà rimandata a chi dopo di loro si assumerà una così tanta grande responsabilità nel governarla. Reggio Calabria è come sequestrata dal conservatorismo dei suoi ceti dominanti e per liberarla ci vogliono progetti veri e quindi capaci di modificare lo stato di cose presenti spostando in avanti il ruolo di quelle forze sane che esistono in questa nostra terra ma che da troppo tempo ormai sono dormienti e che hanno ora il compito e il dovere di modificare la rotta con una netta sterzata tale da modificare l’economia e la direzione della città. Come fare? Difficile rispondere. Per affrontare questa bella sfida è necessario uno sforzo concreto di autorigenerazione delle forze politiche che esistono mettendo in campo idee e programmi concreti in merito a quello che deve ritornare a essere Reggio. Abbiamo ereditato dalla storia un tesoro, ed è ora di accendere quel meccanismo di svolta necessario per non vedere un domani ormai prossimo dilapidato, salvando ciò che ancora c’è da salvare togliendola dalle mani di questa classe dirigente che non fa’ altro che negarci perfino quella sacra identità Reggina che certamente non gli appartiene per storia e tradizione, ma che spetta per diritto a questo popolo da troppo tempo ormai privato dei più elementari diritti di una qualsiasi collettività che si vuol definire civile.
Maurizio Domenico Gattuso