Il verde, che è un colore molto comune in natura, è molto difficile invece da ottenere artificialmente tanto che, per ottenere le sfumature desiderate e stabilizzarle, serve l’uso di sostanze chimiche che sono tra le più tossiche ed inquinanti. A raccontare la storia di questo colore, diventato nel tempo emblema di tutto ciò che è ecologico e sostenibile, è il il New York Times che ne evidenzia, proprio per il suo significato, il lato ironico. Da quando venne adottato, nel 1971, dagli ambientalisti, il verde viene associato a qualsiasi cosa riguardi il rispetto dell’ambiente: dai prodotti biologici che si allineano sugli scaffali dei negozi alle magliette verdi che vengono indossate dagli attivisti, fino alle copertine verdi che rivestono i libri sull’ecosostenibilità. Realizzando adesso che tutto ciò contribuisce all’inquinamento che ci circonda e contamina. Come si legge su ilpost.it, nel XVIII e XIX secolo quadri e popolari tappezzerie verdi erano realizzati con l’arsenico, e talvolta causavano fatali conseguenze. Ai nostri giorni per esempio il pigmento verde n. 7, la tonalità di verde più comune usata per la plastica e la carta. È un pigmento organico, ma contiene cloro, che in alcune forme può causare cancro o problemi genetici; il pigmento verde n. 36, oltre al cloro contiene atomi di bromuro, che è potenzialmente pericoloso. Il pigmento n. 50, che al contrario dei primi due non è organico, è un miscuglio dannoso di cobalto, titanio, nickel e ossido di zinco.