Cosenza – Istituire presso la Prefettura di Cosenza, un tavolo tecnico con attività di prevenzione sul caporalato. E’ la la proposta scaturita nel corso del seminario “La nuova legge sul caporalato, risvolti giuridici e pratici”, voluto e promosso dall’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e da Confapi Calabria al quale hanno preso parte l’Ispettorato del Lavoro, l’associazione Libera e la Procura di Cosenza. Al tavolo dei relatori – coordinato dalla giornalista Emily Casciaro – si sono avvicendati esperti, addetti ai lavori e personalità che sono interessate dai cambiamenti portati dalla nuova legge sul caporalato, datata novembre 2016. Tante le questioni sospese, tante le criticità messe in luce dai relatori per una norma che ancora deve essere “compresa” appieno; lungo il percorso da intraprendere per portare ad una vera efficacia una legge dalla quale ci si aspetta molto proprio per la portata rivoluzionaria della sua formulazione soprattutto in relazione all’individuazione dei “colpevoli”. “Importante è però una collaborazione più stretta fra le forze in campo” – ha detto nell’aprire i lavori Fabiola Via, presidente dei Consulenti del Lavoro di Cosenza. “Se la guerra si vince con il lavoro allora si deve partire proprio da questo: al rispetto delle leggi va abbinato un percorso di legalità promosso da un’azione sinergica di tutte le forze che già contrastano il fenomeno – ha detto Francesco Napoli, Presidente di Confapi Calabria – il caporalato è un fenomeno allarmante che interessa circa 400mila persone, non soltanto stranieri. Un fenomeno che peraltro è registrato in crescita costante negli ultimi anni, insieme alla crescita del lavoro irregolare in generale. Tutto questo non fa che drogare l’economia, danneggiando le imprese agricole che invece operano nella legalità e nel rispetto delle regole”.“Il Terzo Rapporto sulle agromafie dell’Osservatorio Placido Rizzotto – ha fatto eco Rossana Battaglia, segretario Generale di Confapi – parla di un giro d’affari cresciuto del 30% tra il 2015 e il 2016. Sono numeri preoccupanti che una legge da sola non può contrastare. Eppure proprio da questa legge si può e si deve partire per trarre nuova forza e contrastare davvero un fenomeno spaventoso che, prima ancora che essere un reato, è un’orribile colpa nei confronti della persona”. Per Pasquale Staropoli, esperto della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro “E’ una norma che arriva tardissimo ma che finalmente assegna al nostra sistema le armi per combattere davvero il fenomeno, perché di fatto adesso chi utilizza, assume o impiega la manodopera che viene dal caporalato è considerato colpevole di sfruttamento”. La norma, infatti, individua come colpevoli del reato, non soltanto il caporale (ovvero l’agenzia o la persona che promuovono l’incontro fra il lavoratore e il lavoro) ma anche chi utilizza la manodopera “proposta” dal caporale, ovvero il datore di lavoro. Prima di questa legge i complici del reato di sfruttamento dei lavoratori provenienti dal caporalato non erano considerati colpevoli, adesso vengono messi sullo stesso piano dei “trafficanti di manodopera”. Ma una legge non basta, è stato il comune ammonimento dei relatori che si sono succeduti al tavolo per discutere. Gli incontri come quello di oggi sono fondamentali – ha affermato Giuseppe Patania, Direttore dell’Ispettorato del Lavoro di Cosenza – perché mettono a confronto forze diverse che però devono lavorare tutte nella stessa direzione, creando una rete collaborativa che stringa in una morsa questo fenomeno. Chi deve applicare la legge, il burocrate, l’amministrativo, deve avere la collaborazione del legislatore che non deve limitarsi a magnificare la norma, ma deve aiutare a farla funzionare, sul campo, nella realtà. Una logica multiforze è quello che ci vuole”. Ma “il caporalato spesso si nasconde dietro ad una parvenza di legalità”. È stato l’ammonimento di Don Tommaso Scicchitano, del coordinamento di Libera Cosenza, da sempre impegnato in azioni di contrasto alla criminalità organizzata e di tutela della dignità della persona. “La storia di Paola Clemente, morta di fatica nei campi, due anni fa, dimostra che lo sfruttamento non è sempre facilmente riconoscibile (la donna risultava formalmente regolarmente assunta n.d.r.) e ci fa capire quanto le azioni di contrasto a questo fenomeno debbano andare oltre quello che sembra, attraverso la sensibilità degli addetti ai lavori, una capacità che nessuna legge può prescrivere. Perché la mafia in fondo – ha concluso Don Tommaso – non è altro che una forza che si infiltra nei territori istituendo nuove leggi che ci privano dei diritti e del benessere”. Conclusioni affidate a Marisa Manzini, Procuratore Aggiunto del Tribunale di Cosenza, che innanzitutto ha spiegato come non sia affatto sorprendente che il caporalato sia legato agli ambienti mafiosi. “Storicamente se si indaga sull’origine delle mafie, possiamo dire che nelle regioni meridionali praticamente queste nascono con il latifondo, la necessità di reperimento della manodopera e il conseguente sfruttamento delle persone, che discende da una mentalità che presume di possedere la gente come degli oggetti. La mafia di fatto nasce come caporalato e non sorprende che nel 2017 ancora gestisca capillarmente questo fenomeno e ne tragga grandi profitti”. “È una legge che arriva molto in ritardo – ha continuato la Manzini – ma che adesso deve dare una marcia in più alla lotta al caporalato. Con questa norma il ruolo dell’ispettorato del lavoro diviene centrale, fondamentale. Così come quello dei consulenti del lavoro, per questo sono lieta di essere qui stasera. Per rapportarci in modo serio con gli altri paesi europei – ha concluso il sostituto – dobbiamo ancora fare tanto, ma sicuramente, collaborando e grazie a questa nuova legge, potremo farlo presto”.