La Corte Costituzionale dice sì alla necessaria garanzia di un presidio istituzionale sulla posizione del giudice. Giusto abolire il filtro di ammissibilità della domanda risarcitoria. Più semplice per i cittadini lesi dai magistrati agire richiedere i danni
Arriva il via libera integrale dalla Corte costituzionale alla riforma approvata con la legge 18 del 2015 sulla responsabilità civile dei magistrati. Dichiarate inammissibili ed in parte anche non fondate tutte le questioni di legittimità sollevate da molti tribunali relative alla suddetta normativa.
Ed il principio espresso con la sentenza di oggi, la n. 164, dalla Consulta, per Giovanni D’Agata, presidente “Sportello dei Diritti”, è chiaro quanto atteso da chi ha subìto danni per le condotte illegittime o illecite di magistrati: è assolutamente necessario garantire un presidio istituzionale sulla posizione del giudice. Ed inoltre, è giusta l’abolizione del filtro di ammissibilità della domanda risarcitoria. Per i giudici costituzionali, in primo luogo, un sistema che non garantisse un adeguato presidio istituzionale in capo alla posizione del giudice si presenterebbe fortemente asintonico rispetto a quel rigoroso presupposto di legalità a cui il giudice è costituzionalmente tenuto.
Il ruolo del giudice, nell’architettura costituzionale della giurisdizione, appare infatti peculiare, non potendosi escludere a priori che norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, vadano ad incidere in maniera evidente ed attuale sulle garanzie costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando l’esercizio della relativa attività. Ciò tuttavia presuppone che tale incidenza – per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti – sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere, a prescindere da qualsiasi profilo che possa riguardare un eventuale “perturbamento psicologico” del singolo giudice.
In secondo luogo, per ciò che concerne il “filtro”, invece, la norma si incardina in un rinnovato bilanciamento normativo fra un processo contenuto sul fronte tempo e il diritto dei cittadini di essere risarciti dallo Stato: i termini di questa scelta, per la Consulta, sono rimessi alla discrezionalità del legislatore; non è costituzionalmente necessario, infatti, che, per bilanciare i contrapposti interessi di cui si è detto, sia prevista una delibazione preliminare dell’ammissibilità della domanda contro lo Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Tale esigenza può essere infatti soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto accaduto con la legge n. 18 del 2015, per un verso mediante il mantenimento del divieto dell’azione diretta contro il magistrato e con la netta separazione dei due ambiti di responsabilità, dello Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo Stato sia rimasto soccombente nel meccanismo processuale in esame determini un pregiudizio alla «serenità del giudice» come pure la temuta deriva verso una «giurisprudenza difensiva», ipotesi, questa, che evidentemente oblitera l’elevato magistero proprio di ogni funzione giurisdizionale.
Che tutto ciò valga ad escludere il rischio – secondo una direttrice opposta a quanto riscontrato nel precedente assetto circa la sostanziale “irresponsabilità” dei magistrati – di un eventuale abuso dell’azione risarcitoria è questione, poi, che solo l’attuazione nel tempo della nuova disciplina potrà chiarire.
c.s. – Giovanni D’Agata