Per la Cassazione: l’articolo 189 del Codice della Strada non lega l’obbligo di assistenza alla consumazione e all’accertamento di un reato, ma al semplice verificarsi di un incidente «comunque» ricollegabile al comportamento dell’utente della strada
Non si tratta solo di una normativa di civiltà quella scandita dal combinato disposto dei commi 1, 6 e 7 dell’articolo 189 del Codice della Strada che in caso d’incidente ricollegabile al comportamento dell’utente della strada, impone l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona, ma anche una fattispecie complessa che, in caso di violazione fa scattare la pena della reclusione da uno a tre anni e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni. Conseguenze dure, quindi, per quei tanti automobilisti che ancora oggi, nonostante i sistemi elettronici d’identificazione e della presenza, su tutto il territorio nazionale, di una miriade di sistemi di videosorveglianza pubblici e privati, pensano di farla franca scappando dal luogo del sinistro e non prestando soccorso a eventuali feriti, a volte sol perché pensano di “non aver fatto nulla” per causare l’incidente o di non aver nulla a che fare con l’evento. Per la Cassazione, tuttavia non è così, tant’è che con la sentenza 33772/17, pubblicata l’11 luglio dalla quarta sezione penale della Cassazione, è punibile per la tipica omissione di soccorso di cui al combinato disposto dei citati commi 1, 6 e 7 dell’articolo 189 Cds, chi è coinvolto nello scontro fra veicoli e non presta aiuto ai feriti anche se non risulta responsabile del sinistro. E ciò perché, con l’interpretazione fornita dai giudici di legittimità, la suddetta normativa non lega l’obbligo di assistenza alla consumazione e all’accertamento di un reato, ma soltanto al verificarsi di un incidente «comunque» ricollegabile alla condotta dell’utente della strada. Nella fattispecie i giudici di Piazza Cavour nel rigettare il ricorso di una donna già condannata nei due gradi di merito, hanno confermato la condanna dell’imputata per non essersi fermata dopo il sinistro con un motociclista nel quale, però non vi era stata alcuna collisione. La signora, tuttavia, risultava responsabile del sinistro anche se il suo furgone non aveva invaso la corsia sulla quale sopraggiungeva il centauro: si era però avvicina all’improvviso al centro della carreggiata costringendo la moto a frenare e, pertanto, a cadere senza alcun contatto esterno. La conducente, non si fermava e veniva in seguito identificata soltanto grazie a un testimone che era riuscito a prendere il numero di targa del veicolo. Per gli ermellini, l’omissione di soccorso si configura al di là della colpa nell’incidente perché costituisce una nuova e ulteriore deliberazione criminosa rispetto agli eventuali reati di omicidio colposo o di lesioni volontarie, dei quali non rappresenta la prosecuzione in termini di attività illecita. La posizione di garanzia nella protezione delle altre persone rimaste coinvolte nello scontro si configura soltanto perché l’utente risulta partecipe di un sinistro riconducibile al suo comportamento. Per Giovanni D’Agata, presidente “Sportello dei Diritti”, la sentenza in commento costituisce anche un monito verso tutti gli utenti della strada a cercare di mantenere la calma in caso di sinistro stradale, fermarsi e prestare immediatamente assistenza alle possibili vittime.
c.s. – Giovanni D’Agata